S. Messa del Crisma del Giovedì Santo I ministri ordinati: uomini dell’ascolto degli altri con lo sguardo di Dio!

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Omelia

S. Messa del Crisma del Giovedì Santo

Concattedrale Pordenone, 14 aprile 2022

I ministri ordinati: uomini dell’ascolto degli altri con lo sguardo di Dio!

Carissimi tutti, anche nel perdurare di un tempo di sofferenza, di dolore e di fatica, causa la pandemia e la guerra nella nostra Europa, il Signore ci offre una parola di speranza: “A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (Apocalisse 1,5b-6). Tutti noi consacrati e consacrate, insieme ai fedeli, popolo sacerdotale, siamo chiamati ad annunciare al mondo l’amore di Dio che nel suo Figlio Gesù ci ha salvati nella sua morte in croce, donandoci la vita nuova. Non stanchiamoci mai di essere segni viventi della speranza di Dio per l’umanità.

Il contesto del nostro convenire oggi nella Chiesa concattedrale, vescovi, preti e diaconi, consacrati/e e fedeli laici impegnati nella vita pastorale delle nostre comunità cristiane, è un’espressione dal cammino sinodale che la Chiesa universale e le Chiese che sono in Italia, compresa la nostra diocesi, stanno vivendo. La Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, perché dall’accoglienza reciproca scaturisce la possibilità di ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa. La pratica umile e paziente dell’ascolto fa crescere la Chiesa come Popolo di Dio: in essa per il battesimo abbiamo la stessa dignità di figli, a prescindere dai ruoli che ricopriamo. È un camminare insieme che trova consistenza e significato nella capacità di accogliere seriamente quanto ha da dirci la Parola di Dio e la vita della gente del nostro territorio. Nell’omelia del Giovedì santo del 2018 ci eravamo soffermati sull’importanza dell’ascolto della Parola di Dio, come ci ricorda l’apostolo Paolo: “La fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Romani 10,17). Quest’anno, all’interno del cammino sinodale, desidero porre l’accento sull’altra dimensione dell’ascolto: l’ascolto degli altri, di chi ci sta accanto, di chi incontriamo e di chi siamo chiamati a servire. Nel meditare il Vangelo della liturgia di questa celebrazione, mi ha colpito l’atteggiamento degli ascoltatori, dopo che Gesù ha riletto il brano del profeta Isaia nella sinagoga di Nazareth: “Gli occhi erano fissi su di lui” (Luca 4,20). Il testo proclamato da Gesù era ben conosciuto dagli uditori: un testo carico di tensione e di speranza, in attesa di un nuovo liberatore che doveva venire a salvare Israele. Ma gli ascoltatori sembrano preoccupati più della persona che aveva letto che delle parole proclamate, incuriositi da quell’uomo appena ritornato nel villaggio dove era cresciuto. Lo fissavano sbalorditi, sorpresi e incuriositi, in attesa del suo commento. Probabilmente qualcuno era già al corrente di qualche sua dichiarazione o gesto. Ecco perché i presenti guardavano Gesù con attenzione, pieni di aspettative per quello che avrebbe detto. E Gesù, con un semplice avverbio, “oggi” (4,21), si differenzia dalla predicazione di Isaia. Quello che era un annuncio diventa una realtà storica. L’oggi che risuona nella sinagoga di Nazareth apre il tempo messianico, l’era definitiva della salvezza. Il lieto annuncio che Gesù propone non è una dottrina né un semplice messaggio, ma è Lui stesso. Egli è la salvezza e la vita. Se ci fissiamo sullo sguardo degli uditori, viene da chiederci: “Come lo hanno guardato? Cosa si aspettavano da lui? Il loro sguardo era benevolo oppure lo guardavano con sospetto e con pregiudizio?”. Gesù sapeva parlare e relazionarsi non solo con le parole ma anche con il suo sguardo, con il cuore, dimostrando una capacità eccezionale di entrare in sintonia con ciascuno, penetrando nel profondo della vita e nei sentimenti delle persone. E lo sguardo posato su una persona può fare la differenza, perché può diventare uno sguardo di giudizio e di condanna, ma anche di comprensione e di accoglienza. Ricordiamo la parola di Gesù nel suo discorso sul monte: “La lampada del corpo è l’occhio; perciò se il tuo occhio è semplice, tutto il corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso” (Matteo 6,22-23).

Vale la pena, allora, soffermarci a considerare gli sguardi che Gesù aveva sulle persone, perché vangelo non sono solo le parole, ma anche i suoi gesti e il suo sguardo. Imparare da Gesù, dal suo modo di guardare e di ascoltare gli altri, ci aiuterà nell’esercizio del nostro ministero pastorale e contribuirà pure a rendere le nostre comunità più attente ad ogni persona. Sono numerosi i suoi sguardi e ci aiutano a conformarci a lui, ad avere gli stessi sentimenti di Gesù Cristo (cfr. Filippesi 2,5), a fidarci totalmente di Dio Padre e a incontrare le persone come ha fatto lui. Fermiamoci a considerarne qualcuno che troviamo nella narrazione lucana. Sono gli occhi di Gesù che vengono alzati prima delle Beatitudini (cfr.6,20) o rivolti al cielo prima di recitare la benedizione sui pani e di darli ai discepoli perché li distribuissero alla folla (cfr.9,16). Sono gli occhi che il Maestro volse a Gerusalemme “alla vista della città, pianse su di essa” (19,41). Occhi che vedono nel tempio i ricchi lasciare molto denaro per essere ammirati e la vedova che nella sua povertà dona tutto quello che aveva (cfr.21,1-3). Ma ci interessano gli occhi di Gesù che manifestano l’amore e la misericordia del Padre, nella chiamata dei discepoli (cfr.5,2.7), nella guarigione del lebbroso (cfr.5,12) e del paralitico (cfr.5,20), nello sguardo compassionevole verso la madre vedova per la perdita del figlio (cfr.7,13) e nello sguardo liberante indirizzato al notabile ricco che, per i troppi beni, se ne andò via molto triste (cfr.18, 24). Altri sguardi sono significativi per noi. Gesù alza lo sguardo e vede Zaccheo (cfr.19,1-10). Contempliamo l’incrocio di sguardi tra Zaccheo che desiderava vedere Gesù e Gesù che vede le sue paure e le sue fragilità. Così come lo sguardo del padre che scrutando l’orizzonte, aspetta e guarda se arriva il figlio prodigo (cfr.15,20), e lo sguardo amorevole che offre il perdono a Pietro che lo ha rinnegato (cfr.22,61). Confrontiamoci anche con i diversi sguardi narrati nella parabola del buon samaritano (cfr.10,31-33). Gesù ci mette in guardia contro l’indifferenza e ci chiede di lasciarci coinvolgere e di capire gli altri, andando loro incontro senza continue giustificazioni. Il samaritano guardò con occhi sinceri, cercò e trovò chi era nel bisogno. Il vero dolore è passare e non accorgersi delle sofferenze degli altri. Significativo e pieno di speranza l’invito del Risorto ai discepoli a guardare e contemplare le sue piaghe (cfr.24,39) e nell’Ascensione a non fermarsi a guardare il cielo ma a riconoscerlo presente nel mondo e nella parusia finale. Chiediamo con fiducia e con tanta umiltà al Signore che ci insegni a guardare le persone come Lui, con uno sguardo di amore, di compassione e di misericordia, scorgendo nei fratelli e sorelle che incontriamo le piaghe di Cristo. Gesù ci invita a scoprire in ogni persona le sofferenze fisiche, umane e spirituali, per toccarle, alleviarle e portarvi la consolazione.

Fissare lo sguardo su Gesù! Noi, ed in prima persona io, rimaniamo sorpresi dall’incontro e dalla parola di Gesù? Cosa può significare per noi oggi questa espressione?  Anche noi siamo chiamati a guardare Gesù, a guardarlo fisso negli occhi, perché siamo ben consapevoli che ogni relazione umana, ogni ascolto vero della gente ha nello sguardo un prezioso alleato. Pensiamo quanto è stato importante – e lo è ancora, in questi anni di pandemia, con la mascherina sul volto – guardare e comunicare con gli occhi e lo sguardo, non potendolo fare con il sorriso o con i muscoli facciali. Spesso tutto dipende da come noi fissiamo e guardiamo chi ci sta davanti. Buona parte dell’ascolto è fatta anche dallo sguardo, che rispecchia il nostro cuore e il nostro animo, quello che siamo nel profondo, quello che desideriamo e che ci aspettiamo dalla persona che stiamo ascoltando.  Siamo disposti veramente ad ascoltare e accettare l’altro per quello che è e che dice? Se non ascoltiamo non possiamo comunicare veramente. Ma per ascoltare è necessario credere nell’altro, credere che quello ha da dirci non sono banalità, ma qualcosa di importante che ci può arricchire. Lo stile di Gesù ci insegna che per comunicare con le persone, per entrare in sintonia piena con loro, è necessario accompagnare l’ascolto con uno sguardo accogliente e benevolo.

Nel discorso per la commemorazione dei 50 anni dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, papa Francesco ha ricordato che “una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare è più che sentire. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare”.  E nell’apertura del Sinodo della Chiesa universale, l’11 ottobre 2021, ci diceva: “Chiediamo con sincerità in questo percorso sinodale, come stiamo con l’ascolto? Come va l’udito del nostro cuore? Permettiamo alle persone di esprimersi, di camminare nelle fede anche se hanno percorsi di vita difficili, di contribuire alla vita della comunità senza essere ostacolate, rifiutate o giudicate? Fare Sinodo è porsi sulla stessa via del Verbo fatto uomo: è seguire le sue tracce, ascoltando la sua Parola insieme alle parole degli altri”. Possiamo dire che il tema dell’ascolto di ciò che l’altro ha da comunicare, fa da filo conduttore nel cammino della Chiesa e delle comunità cristiane. Anche noi, come Chiesa diocesana ci siamo messi in cammino sinodale. Stiamo concludendo la prima fase di ascolto che ha coinvolto tante persone delle comunità parrocchiali, dei gruppi e associazioni e anche persone e realtà della società civile. Vi ringrazio per il lavoro fatto con passione e dedizione. L’ascolto non è semplicemente una fase che si esaurita, che possiamo tranquillamente lascarci alle spalle, ma è uno degli aspetti vitali della Chiesa in uscita che sa mettersi in cammino e vivere tra le persone. Entrare in relazione vera con le persone è parte essenziale della Chiesa e del nostro ministero pastorale. La Chiesa non esiste per se stessa: la sua ragione d’essere è interamente nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo, perché possa risuonare in tutti i tempi e in tutti i luoghi della terra. La Chiesa, ci ricorda il Concilio Vaticano II è “segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (LG 1), e papa Francesco, nell’Evangelii Gaudium scrive: “Fedele al modello del Maestro, è vitale che oggi la Chiesa esca ad annunciare il Vangelo a tutti, in tutti i luoghi, in tutte le occasioni, senza indugio, senza repulsioni e senza paura” (n. 23). Ecco perché desidero che ci soffermiamo a considerare, nella riflessione, nella meditazione e nella preghiera, il tema dell’ascolto degli altri. E l’ascolto sarà tanto più efficace se sapremo viverlo come occasione costante di conversione personale. La riforma della prassi pastorale, necessaria e indispensabile, potrà realizzarsi solo se sarà accompagnata dalla conversione personale.

Domandiamoci: “Quante persone incontriamo ogni giorno, ma quante ne abbiamo ascoltate veramente? Sentire non è lo stesso che ascoltare, perché l’ascolto è caratterizzato da una scelta precisa, grazie alla quale si decide di ascoltare attraverso l’attenzione, la sensibilità, l’intelligenza e il cuore. L’ascolto è una parola passiva, perché inizia con il ricevere e non con il dare e chiede di essere attenti ad un tu che comunica con noi, un tu che va accolto per quello che è, senza pregiudizi. Sfortunatamente la società di oggi rende sempre più difficile la capacità di ascoltare, a causa dello stress, della frenesia e del poco tempo che si dà all’ascolto delle persone. In una cultura che privilegia l’esteriorità, l’apparire, il parlare vano e il consenso, l’ascoltare diventa sempre più faticoso. Saper ascoltare è difficile, perché esige controllo ed implica attenzione all’altro. Quante volte capita anche a noi, a me, di sentire senza ascoltare, quando non ci si concentra veramente sull’altro che parla, quando si pensa alla risposta da dare, mentre l’altro sta ancora parlando, senza prestare attenzione a quello che dice. Ascoltare è una abilità che chiede apertura verso l’altro, chiede di mettersi nei panni dell’altro, riconoscendo e accettando il suo punto di vista, le sue emozioni, le diverse modalità espressive, indispensabili per un buon ascolto. L’ascolto richiede pazienza, rispetto e applicazione prolungata nel tempo. Goethe diceva: “Parlare è una necessità. Ascoltare è un’arte”.

Per ascoltare è necessario avere un cuore grande, che vuole il bene dell’altro. Come ci ricorda il profeta Ezechiele: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (36,26), e Gesù: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Matteo 11,29). Per essere vicini alla gente sono necessarie due caratteristiche, essenziali per un buon ascolto, per ascoltare senza pregiudizi e precomprensioni: mitezza e umiltàLa mitezza e l’umiltà di cuore di Gesù: grazie a queste, Gesù incontrava veramente la persona e non il personaggio. La mitezza e l’umiltà di cuore permettono di essere liberi di fronte agli altri, donando loro la libertà. L’umiltà è una scelta ed è la consapevolezza di non essere o no voler essere onnipotenti. L’umiltà ci fa dipendere da Dio, ci fa stare sotto lo sguardo di Dio, ci fa essere in relazione, contenti di aver Dio come creatore, non solo come Colui che ci ha creati il primo giorno, ma come Colui che sostiene la nostra vita. Siamo contenti di essere salvati da Lui e di non salvarci da soli. L’umiltà ci fa anche comprendere che abbiamo bisogno degli altri e non solo del creatore, perché siamo membra dello stesso corpo, come ci ricorda S. Paolo: “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Corinzi 12,26). Ascoltare con il cuore è il titolo che Papa Francesco ha dato al messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali del 2022. “Dalle pagine bibliche – ci ricorda il papa – impariamo che l’ascolto non ha solo il significato di una percezione acustica, ma è essenzialmente legato al rapporto dialogico tra Dio e l’umanità”. È Dio che ascolta il grido del suo popolo sofferente e si muove con compassione per salvalo (cfr. Esodo 3,7-9). E continua: “Da una parte c’è Dio che sempre si rivela comunicandosi gratuitamente, dall’altra l’uomo al quale è chiesto di sintonizzarsi, di mettersi in ascolto. Il Signore chiama esplicitamente l’uomo a un’alleanza d’amore, affinché egli possa diventare pienamente ciò che è: immagine e somiglianza di Dio nella sua capacità di ascoltare, di accogliere, di dare spazio all’altro. L’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore. … La vera sede dell’ascolto è il cuore”.

Permettete un’ultima considerazione, in particolare per noi consacrati. Le caratteristiche del prete che ascolta il popolo di Dio, nascono in primo luogo da un ascolto ospitale, discreto ma potente in quanto, se il consacrato possiede l’amore dell’ascolto, diventa uno strumento trasformativo. Dobbiamo tutti metterci alla scuola dell’ascolto per imparare sempre più ad ascoltare nell’esercizio del nostro ministero. Esso è basato sull’empatia, che vuol dire immergersi nel mondo soggettivo dell’altro come se fosse il mio. L’ascolto umano crea spazi di umanità sincera, se sappiamo cogliere il contenuto che viene espresso e i sentimenti che lo accompagnano. L’ascolto richiede rispetto che accoglie e riconosce le diversità dell’altro, richiede, ancora, di tenere a bada i propri schemi mentali evitando giudizi affrettati, come pure di considerare positivamente gli altri, portatori di storie personali sconosciute. L’empatia nel suo significato teologico, spiega che con essa si rende presente e si riflette la comprensione di Dio per l’umanità che ha raggiunto il suo vertice in Cristo. In essa si rispecchia la relazione di Dio con gli uomini, l’immagine di un Dio compassionevole e misericordioso. Da qui si possono trarre indicazioni per un ascolto efficace. Alcune attenzioni importanti da avere: a volte si crede di ascoltare ma spesso accade che si rifiuta ciò che viene detto perché non suona bene ai nostri orecchi o alle nostre convinzioni. Saper ben ascoltare può portare ad aprire la nostra mente a nuove idee e a nuove soluzioni ad arricchimento nostro ma anche degli altri. Chi parla sentendosi ascoltato tenderà a migliorare il suo modo di comunicare. Il buon ascolto porta al dialogo: un dialogo che si sa liberare dai giudizi e dai pregiudizi, nella considerazione positiva dell’altro, capace di trasmettere stima e rispetto per l’altrui dignità, benché umanamente non sia facile vedere Cristo nell’altro. Può capitare anche a noi, quanto ha detto Gesù ai discepoli: “Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? (Marco 8, 17-18). Queste parole ci aiutano a capire che per vedere oltre bisogna impegnarsi, per capire e ascoltare bisogna volerlo. L’ incontro con l’altro non avviene per caso, ma parte da una scelta personale e dal desiderio di entrare in relazione con lui.

Ringrazio tutti voi presenti a questa celebrazione. Idealmente è presente tutta la nostra Chiesa diocesana, tutto il Popolo di Dio in cammino: i laici impegnati nell’edificazione delle nostre comunità, insieme ai diaconi, ai presbiteri e a tutti i consacrati e consacrate. Un saluto affettuoso al vescovo Ovidio, ai sacerdoti anziani e ammalati che non possono essere presenti, ai nostri sacerdoti FD e laici che operano in terra di missione e a quelli in servizio alla Chiesa universale. Ci aiutano a vivere la responsabilità che tutti noi abbiamo per la Chiesa sparsa nel mondo. Troppo poco diamo, mentre tanto riceviamo! Un grazie ai numerosi sacerdoti missionari FD, lontani dai loro paesi e dalle loro Chiese e che sono a servizio nelle nostre comunità e a quei preti studenti che sono giunti per vivere con le nostre comunità il Triduo santo. Grazie perché ci aiutate a respirare la cattolicità della Chiesa.  Un pensiero affettuoso ai sacerdoti che quest’anno celebrano un anniversario di ordinazione e ai preti novelli che abbiamo accolto come un dono dello Spirito. Vi ricorderemo nelle nostre preghiere.

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo

Pordenone
14/04/2022