Omelia Giovedì Santo nella Cena del Signore
Pordenone, 4 aprile 2021
Pane spezzato
“Prima della festa di Pasqua, Gesù sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Giovanni 13,1). Con queste parole di Gesù entriamo nel Triduo pasquale della morte e risurrezione del Signore Gesù, di cui la celebrazione di questa sera costituisce la porta di ingresso. In questi santi giorni noi celebriamo il dono del suo amore che giunge fino alla fine, fino all’estremo, fino al compimento. Gesù ci ha amato fino a dare la vita, per aiutare anche noi a fare altrettanto. Non un amore fatto di parole o di bei discorsi, ma un amore fatto di gesti concreti: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (v. 15). Ma come Pietro e gli altri discepoli, anche noi facciamo fatica a capire subito, tanto grande è il dono che ci ha fatto nel consegnarci il suo corpo e il suo sangue.
La Parola di Dio ci porta a comprendere il valore dell’Eucaristia, la santa cena, all’interno della storia della salvezza, facendo memoria dei gesti di salvezza compiuti da Dio che si è manifestato all’umanità nel contesto della storia, nella quotidianità della vita. In questo modo Dio ci fa vedere concretamente quanto ci vuole bene e quanto ci ama. La pasqua ebraica, come ci ha ricordato il libro dell’Esodo, è l’evento più grande dell’AT.: Dio passa e libera il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto. Anche Gesù nel celebrare il ricordo di quella cena, istituisce l’Eucaristia, passaggio dall’antica alla nuova Pasqua, segno dell’amore di Dio per l’umanità. L’apostolo Paolo nella seconda lettura e Giovanni nel Vangelo, ci parlano dell’Eucaristia attraverso le parole e i gesti che Gesù compie. Di solito ci si sofferma a meditare sul gesto della lavanda dei piedi raccontato da Giovanni, segno dell’amore e del servizio. Gesù pone questo gesto non all’inizio della cena, nel momento dell’accoglienza, ma alla fine, per sottolineare fin dove attiva il suo amore, ‘fino all’estremo’, fino al dono della vita. Quest’anno, causa la pandemia, non ci sarà possibile ripeterlo. Desidero allora che prendiamo in considerazione i gesti e le parole che Gesù ha compiuto sul pane e sul vino; parole e gesti che ripetiamo anche noi in ogni celebrazione della Messa. I due segni, l’istituzione dell’Eucaristia e la lavanda dei piedi dicono la stessa cosa, raccontano la stessa verità e, infatti, sono seguiti da due comandi: “Fate questo in memoria di me” (1 Corinzi 11,24); “Anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (Giovanni 13,14).
Ci soffermiamo brevemente sul racconto dell’istituzione dell’Eucaristia testimoniatoci da san Paolo: “Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e dopo aver reso grazie, lo spezzò … Prese anche il calice” (1 Corinzi 11,23-25). Stupisce il contrasto tra il tradimento che si respira attorno a Gesù e il suo gesto libero di consegna, di dono gratuito di sé. Non sappiamo bene, anche se possiamo intuirlo, quanto i discepoli abbiano compreso in quella notte. Gesù attraverso il gesto e la parola, ha offerto se stesso, fino al dono totale della vita. Segno evidente anche per noi oggi, è lo spezzare il pane. L’invito che Gesù ha fatto ai suoi discepoli dopo la benedizione sul pane e sul vino “fate questo in memoria di me” (v. 24.25), non chiedeva di ripetere solamente i gesti e il rito che lui ha fatto, ma di offrire il proprio corpo in sacrificio, facendo dono della propria vita agli altri, come ha fatto lui. E il significato più evidente dell’azione compiuta è lo spezzare il pane. È un gesto così eloquente che la celebrazione dell’Eucaristia, la santa Messa, prese ben presto il nome di fractio panis, frazione del pane. Ricordiamo che i due discepoli di Emmaus, riconobbero Gesù nello spezzare il pane (cfr. Luca 24,30-31). Gesù non spezzò il pane per darne un pezzetto a ciascuno e per condividerlo con gli altri. Prima di tutto dà un significato sacrificale, di dono e di immolazione della sua vita per il Padre e per l’umanità. Spezzando il pane Gesù spezzava se stesso davanti a Dio, obbedendo alla sua volontà. Come nell’AT venivano sacrificati gli animali, così Gesù spezza e dona il suo corpo e la sua vita. Ce lo ricorda la Lettera agli Ebrei quando parla del sacrificio di Cristo: “Tu non hai voluto e non hai gradito né sacrifici, né offerte … e soggiunse: Ecco, io vengo a fare la tua volontà” (10,8-9). Gesù offrendo da mangiare ai suoi discepoli il pane della sua obbedienza e del suo amore, dona il suo corpo e il suo sangue, la sua stessa vita. “Prendete mangiate … questo è il mio corpo, che è per voi” (1 Corinzi 11,24).
Carissimi, quante volte anche noi, spesso senza rendercene conto, spezziamo il pane con altri. È il gesto di tanti genitori che lo condividono tra di loro e con i figli in famiglia, segno semplice e quotidiano di una vita donata. È il gesto che spesso compiamo quando ci troviamo con altri, nei momenti di amicizia, di festa o di lavoro, espressione di condivisione e di solidarietà. Facciamo che siano sempre segni d’amore. Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, pane spezzato per la vita del mondo, lo Spirito Santo ravviva nella Santa Cena il sacrificio di Gesù sulla croce, aiutandoci a fare anche noi altrettanto. Per poterlo fare è necessario spezzare noi stesso, deporre ogni rigidità ed egoismo davanti a Dio, ogni gesto di ingratitudine e freddezza verso i fratelli e le sorelle. Siamo chiamati ad essere meno orgogliosi e a pronunciare fino in fondo il nostro ‘Ecco, io vengo per fare la tua volontà’. E la sua volontà, lo sappiamo bene, è amare come Lui ci ha amati. Gesù ha condiviso tutto, la sua vita, la sua morte e soprattutto la sua risurrezione, la vita nuova che ci fa essere uomini e donne nuovi. Chiediamo con insistenza al Signore Gesù presente nell’Eucaristia, che la nostra vita divenga capace di amare come ha amato Lui.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo