Diocesi Concordia-Pordenone
Omelia Ordinazioni Diaconali
Seminario di Pordenone, 6 settembre 2021
La liturgia della Parola che gli ordinandi diaconi Linus e Innocent hanno scelto, ci aiuta ancora di più ad entrare nel mistero che stiamo celebrando. Scriveva papa Benedetto nell’esortazione post-sinodale Sacramentum Caritatis: “La Santissima Eucaristia è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore infinito di Dio per ogni uomo. In questo mirabile Sacramento si manifesta l’amore più grande, quello che spinge ‘a dare la vita per i propri amici’ (Giovanni 15,13)” (n.1). Gesù chiede anche ad ognuno do noi di fare altrettanto: “Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (15,12).
Fin da subito lo ha sperimentato la Chiesa primitiva a Gerusalemme nel suo primo conflitto, causato non solo dall’aumento del numero dei credenti, ma soprattutto dalla presenza nella comunità di due gruppi: gli Ebrei, nati in Palestina, e gli Ellenisti, i giudeo-cristiani nati nella diaspora che parlavano la lingua greca. La differenza tra loro non era solo linguistica: gli ellenisti erano segnati da una cultura e mentalità universalistica e ad un atteggiamento più critico nei confronti della legge e del tempio. Molto probabilmente i due gruppi avevano una diversa organizzazione interna. La crisi e il conseguente conflitto riguardavano la modalità di vivere la comunione, essenziale alla vita della Chiesa. Poiché è in gioco l’unità di tutta la comunità, tutta la comunità è chiamata a collaborare al superamento del problema. È la ricerca delle fedeltà a Dio e alla sua parola il criterio che deve guidare la soluzione della crisi. La scelta dei ‘sette’ da destinare per il servizio caritativo, favorisce l’unità e la comunione nella comunità e apre la strada ad un nuovo ministero nella Chiesa. I sette, infatti, dopo essere stati scelti dalla comunità, secondo le indicazioni degli apostoli, vengono a loro presentati per essere costituiti nel ministero, mediante la preghiera e l’imposizione delle mani. L’idea della comunione è per Luca fondamentale per la vita della comunità. Solo la fedeltà a Dio può ridonare slancio missionario e possibilità di crescita. San Paolo ai Corinzi ricorda che nel ministero “non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore … per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo” (2 Corinzi 4,5-6). Paolo sente la fatica dell’annuncio ma non si scoraggia di fronte al rifiuto delle persone e del mondo, testimoniando con chiarezza che il suo compito è di predicare il Vangelo. La luce del mondo è il volto di Gesù, crocifisso e risorto.
In questi anni, troppo nella Chiesa, si è discusso e si discute sui compiti e sulle funzioni del diacono all’interno delle nostre parrocchie, rischiando di vedere il diaconato come un problema e non una risorsa per la Chiesa di oggi. Il brano del vangelo di Giovanni ci aiuta ancora di più a considerare lo stile di vita che deve accompagnare ogni servizio e ministero nella Chiesa, in particolare il ministero ordinato nei suoi tre gradi: diaconato, presbiterato ed episcopato: amare come ha amato Dio. Gesù ci ama con lo stesso amore con il quale ha amato il Padre, ed insite, chiedendo anche a noi di rimanere in questo amore trinitario, del Padre verso il Figlio attraverso lo Spirito. Quando si sta con la persona amata si desidera che rimanga sempre con noi. Il mondo, l’umanità tutta ha bisogno di amore, ma di un amore vero, che fa crescere l’altro, di un amore che porta gioia e serenità. Una gioia che nasce dal sentirci amati da Gesù e che possiamo conservare solo se, a nostra volta, amiamo gli altri con lo stesso amore con il quale siamo amati. Se non comunico agli altri l’amore che ricevo, se non lo lascio passare, come il tralcio fa passare la linfa, esso inaridisce facendo perdere il senso alla mia vita, perché si possiede solo l’amore che viene donato.
Carissimi Linus e Innocent, site stati scelti dall’amore di Dio per vivere in pienezza la vostra vita e per donarla agli altri, amando come Lui vi ha amati. Il vostro ‘eccomi’, che oggi rinnovate per sempre al Signore e alla Chiesa, sia un ‘si’ per essere, in ogni istante della vita, testimoni dell’amore di Dio nel mondo. Con lo stile del diacono. È vero che voi siete in cammino verso il presbiterato, ma ricordate che il diaconato, anche se è una tappa del cammino, rimane sempre per tutta la vita. Fin dagli inizi della Chiesa, il diaconato è sempre stato considerato come un elemento essenziale alla costituzione della Chiesa, un ministero ordinato permanente, da valorizzare sempre di più. Il diaconato è il sacramento della carità della Chiesa e i diaconi sono coloro che, configurati a Cristo servo, sono i ‘custodi’ del servizio nella Chiesa, segno sacramentale di Cristo servo. Custodi non perché si impossessano del servizio, tenendolo per sé, ma perché tutta la Chiesa non si dimentichi del servizio e ad esso si apra. Essi ricordano ai vescovi e ai presbiteri che la loro missione è servizio. A tutti i battezzati ricordano che la vocazione a servire è propria di tutto il popolo di Dio e che la fede ha un’essenziale dimensione di servizio.
Carissimi ordinandi, per comprendere ancora meglio l’identità e il servizio specifico del diacono, mi servo di una immagine. Il diacono è colui che fa da ponte, che si pone nel mezzo, come l’uomo della relazione. In questo modo siamo invitati a considerarlo non solo dedito specificamente all’altare e al sacro. Immerso nel mondo e con uno sguardo più ampio, si preoccupa soprattutto di quelli che sono sulla soglia e che fanno fatica ad entrare nella vita della comunità, aiutando la Chiesa a guardare oltre, lontano. Ecco perché il diaconato aiuta anche noi vescovi e preti ad avere sempre uno sguardo che va oltre, che non si accontenta, che cerca e che si preoccupa, come dice Gesù, “delle “altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare” (Giovanni 10,16). Carissimi Linus e Innocent, questa celebrazione e questo momento sono per voi del tutto particolari. Qualche anno fa, siete partiti dalla vostra terra, la Nigeria, dalla vostra diocesi e dalle vostre famiglie per vivere con noi la dimensione dell’universalità della Chiesa. Noi ne parliamo tanto … ma facciamo fatica a sperimentarla. In questi anni siete stati di esempio e di testimonianza, aiutandoci a non chiuderci in noi stessi, a non giudicare le persone per la loro cultura o per il colore della pelle, ma a sentirci tutti fratelli, figli dello steso Padre, amati intensamente da Lui. Vi ringrazio di cuore per il dono che fate alla nostra Chiesa. Ringraziate il vostro vescovo, le vostre famiglie e le vostre comunità. Spero che, quando sarà il tempo di ritornare nella vostra terra, possiate portare con voi un po’ del nostro amore, della nostra vicinanza e amicizia. Questa è essere e vivere la Chiesa cattolica!
Stiamo vivendo il cammino sinodale, alla ricerca di un nuovo volto di Chiesa e di comunità, di un nuovo stile di pastorale e di apostolato. Il modello di ministero che voi diaconi siete chiamati a vivere, diventi un segno, una indicazione per noi e per tutta la Chiesa che il valore principale è mettersi a servizio egli altri, essere una Chiesa tutta in uscita, che non si chiude e che va in cerca della gente, che non ha paura di sporcarsi le mani, che si cinge il ‘grembiule’ per farsi serva, per amare sullo stile di Gesù che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Marco 10,45).
Papa Francesco ai vescovi del Madagascar, il 7 settembre 2019, ha ricordato: “Il diacono è il custode del servizio nella Chiesa. Per favore, non tenete i diaconi sull’altare: che facciano i lavori fuori, nel servizio”.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo