Omelia Epifania del Signore
Pordenone, 6 gennaio 2017
San Paolo, nella lettera agli Efesini che abbiamo appena ascoltata, ci parla della venuta di Gesù come di un dono meraviglioso, inaspettato. E usa la parola mistero! Mistero, come spesso noi pensiamo, non è qualcosa di nascosto e incomprensibile, ma, al contrario, significa la manifestazione di Dio alla nostra umanità che si svela gradualmente, secondo le nostre possibilità. In questi versetti, Paolo ci ricorda il perché Gesù è venuto nel mondo, perché si è fatto uomo, il vero significato della sua venuta, che “le genti sono chiamate, in Gesù Cristo, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo” (Efesini 3,6). Gesù è venuto nel mondo non per una categoria particolare di persone, non solo per i suoi ma per tuti, per tutte le genti. Se a Natale abbiamo contemplato la manifestazione di Gesù a semplici pastori, oggi, in questa festa dell’Epifania, la liturgia ci invita a contemplare Gesù che si manifesta ai pagani, a tutte le genti rappresentate dai Magi, personaggi particolari, forse astronomi che scrutano il creato, provenienti, come ci dice il vangelo, dall’oriente, da paesi lontani.
Il filo conduttore che guida tutto il periodo natalizio è la manifestazione di Dio all’umanità attraverso il suo Figlio Gesù che è la sfolgorante luce per tutte le genti, la luce che illumina ogni persona. Luce che Dio ha fatto brillare in mezzo alle tenebre. Ce lo ha ricordato anche il profeta Isaia nella prima lettura: “Alzati, rivestiti di luce perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (60,1). L’Epifania è la festa della luce: luce perché i Magi, desiderosi di dare un senso alla loro vita, si sono lasciati guidare da una stella e, al loro arrivo, hanno trovato Gesù, luce del mondo. I Magi rappresentano tutta l’umanità che è alla ricerca continua di Dio, alla ricerca di trovare la pienezza della vita e dell’amore, di una luce che possa illuminare il cammino e dare un senso profondo alla vita e alle difficoltà che si incontrano. Durante il cammino, i Magi hanno dovuto superare pericoli, oscurità e tenebre, primo fra tutti la durezza del cuore di Erode, incapace di mettersi in ascolto delle scritture e dei profeti, perché chiuso nel suoi egoismo e nella sete di potere.
È bello e interessante che anche noi, lungo il cammino della vita e nel desiderio di dare un senso e significato a tutto quello che facciamo, ci lasciamo accompagnare dai Magi. La stella è stata il segno nel quale hanno colto la chiamata di Dio a cercare Gesù. A ognuno Dio offre una stella per illuminare la strada che porta a Gesù. È pertanto indispensabile lasciarci interrogare dai segni, saperli leggere e interpretare alla luce della fede, con disponibilità a cercare, a camminare, a uscire da se stessi. La ricerca e il cammino che i Magi hanno fatto, includeva delle domande, perché non conoscevano né quello che stava capitando né la meta dove arrivare. Le domande sono fondamentali nella vita, perché richiedono umiltà, senso del limite e ascolto degli altri. I Magi, che umanamente potevano aver tutto, si erano accorti che qualcosa di importante mancava nella loro vita, del vuoto che si sentivano dentro e così decisero di uscire da loro stessi, alzare lo sguardo al cielo e a mettersi in cammino per incontrare e adorare un bambino, fidandosi della guida della stella e della parola delle scritture. In quel fragile ed indifeso bambino, con gli occhi della fede, riconobbero il Figlio di Dio e il salvatore dell’umanità. Gesù non può essere trovato da chi non si mette in cammino, da chi ha paura di intraprendere una nuova strada, da chi non si fida della presenza continua del Signore.
La festa dell’Epifania ci offre l’opportunità per un’altra considerazione. Il fatto che i Magi vengano da lontano e che san Paolo ci abbia ricordato che tutte le genti sono chiamate alla fede, siamo invitai a considerare l’esperienza cristiana coe un’esperienza di universalità. Gesù è venuto per tutte le genti, non per pochi o per alcune categorie di persone; il cristianesimo è una esperienza di fede aperta a tutti i popoli. Spesso siamo portati, soprattutto ai nostri giorni, ad escludere quello che non la pensano come noi o che provengono da paesi con tradizioni e culture differenti. Tutti si possono accostare a Gesù e noi siamo chiamati ad annunciare il vangelo di Gesù, a proporre ad ogni persona la bellezza dell’incontro con Cristo, venuto per salvarci e per parlarci dell’amore e della misericordia di Dio Padre. È questo il vero significato dell’evangelizzazione e della Chiesa che si apre alla missionarietà. Scrive papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: “L’evangelizzazione obbedisce al mandato missionario di Gesù: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli. … Il risorto invia i discepoli a predicare il vangelo in ogni tempo e in ogni luogo, in modo che la fede in Lui si diffonda in ogni angolo della terra” (n. 19). Ecco perché oggi vogliamo ricordare e ringraziare in modo del tutto particolare i nostri missionari e missionarie che hanno lasciato le loro case e le loro comunità per annunciare a tutti la novità del Vangelo di Gesù.
Tutti, carissimi, siamo chiamati a portare il Vangelo di Gesù; c’è chi lo porta, come fanno i missionari, nel mondo e chi, invece, lo annuncia rimanendo nel proprio paese e città, a chi non lo conosce o a chi si è dimenticato di Lui. Siamo chiamati ad essere missionari nelle nostre famiglie, nell’ambiente di lavoro o di studio, nei campi da gioco o nei luoghi dello svago. Importante è trasmettere a chi avviciniamo, con la testimonianza della vita, la gioia dell’incontro con Gesù, la gioia del Vangelo. “Non lasciamoci rubare l’entusiasmo missionario” (EG 80).
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo