Omelia Domenica di Pentecoste
Pordenone, 31 maggio 2020
Ascoltando la parola di Dio di questa domenica, qualcuno potrebbe rimanere un po’ confuso: ma come? Giovanni nel Vangelo ci narra che alla sera di Pasqua Gesù disse ai discepoli: “Ricevete lo Spirito Santo” (20,22); e Luca, nel libro degli Atti degli Apostoli, inizia il racconto: “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (2,1), cioè 50 giorni dopo la Pasqua. Non sono due indicazioni contradittorie, perché, se vogliamo comprendere fino in fondo il significato vero della festa che oggi celebriamo, è necessario collocarla all’interno delle due festività: Pasqua e Pentecoste. Un unico grande giorno, il tempo pasquale, dove la vita stessa del Risorto viene partecipata ai discepoli in forza della sua morte e risurrezione. Lo Spirito che Gesù aveva accolto nel giorno del battesimo e che lo ha accompagnato in tutta la sua vita, ora viene effuso sui discepoli e su tutti i credenti per abilitarli a continuare, nel tempo della Chiesa, la missione profetica di Gesù attraverso l’annuncio della parola, i segni sacramentali e la carità fraterna. Come la discesa dello Spirito su Gesù inaugura il suo ministero profetico in parole e segni, così l’effusione dello Spirito sulla Chiesa a Pentecoste, la abilita al ministero di annuncio e di testimonianza.
La scena della Pentecoste ci è narrata da Luca nel libro degli Atti degli Apostoli: nel primo quadro presenta l’evento attraverso alcuni fenomeni, che ci riportano alle manifestazioni di Dio nell’AT: un fragore improvviso dal cielo, il vento impetuoso e le lingue di fuoco che si posano sui presenti. Il secondo quadro ci porta fuori dal Cenacolo, alla presenza di una grande folla di persone, provenienti da nazioni e culture differenti, meravigliati perché ciascuno sentiva parlare nella propria lingua le grandi opere di Dio. L’espressione iniziale “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste”, ha un significato molto forte perché non allude alla fine della giornata (siamo alle nove del mattino), ma perché inserisce questo fatto nel grande progetto di Dio, che qui si va compiendo. Finisce il tempo dell’attesa e inizia il tempo della salvezza, che ci viene dato dall’accoglienza del dono dello Spirito Santo. Nasce una Chiesa non chiusa in se stessa, paurosa e sempre sulle difensive, ma una Chiesa – usando la bella espressione di papa Francesco – in uscita, ospedale da campo, che va in cerca delle persone dove vivono e si incontrano, che si china sulle sofferenze dei più bisognosi.
A Pentecoste il dono dello Spirito ristabilisce l’unità delle lingue che era andata perduta. A Babele, l’umanità si trovava divisa nel tentativo di vivere senza Dio. È l’eterna tentazione dell’uomo di oggi che vuole costruire la società senza Dio, cercando la salvezza nelle proprie forze e capacità. Lo stiamo sperimentando anche in questi giorni di pandemia e di crisi globale. Allontanandosi da Dio, l’uomo non trova altro che confusione e dispersione. Quando, invece, si apre al dono dello Spirito, si realizza l’unità e la vera umanità. Lo Spirito Santo inaugura un tempo nuovo, il tempo della comunione e della fraternità. È lo Spirito di unità, che non significa uniformità ma armonia nelle differenze. Ce lo ha ricordato l’apostolo Paolo nella seconda lettura: “Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore” (1Corinzi 12,4-5). La Pentecoste è armonia di diversità. Pertanto nella Chiesa non esiste il tutti come massa indistinta, ma la persona che opera per il bene di tutti. L’uniformità è la morte della comunità!
Dalla meditazione della Parola, colpisce un particolare: gli Apostoli, prima della venuta dello Spirito sono tristi e paurosi, chiusi in se stessi e incapaci di comunicare con gli altri. Lo Spirito entra in loro e li trasforma, aiutandoli a vedere e a credere in ciò che sembrava impossibile. L’azione dello Spirito Santo non accresce l’illusione ma dona la fiducia e il coraggio che aiutano a vincere la paura e la chiusura in se stessi. Gesù, come ci racconta la pagina evangelica, viene in mezzo a loro, li incoraggia portando nel loro cuore la gioia della sua presenza: “I discepoli gioirono al vedere il Signore” (20,20). Anche se la situazione è ancora confusa e non è tutto chiaro, i discepoli provano una grande gioia e una pace interiore. Lo Spirito Santo ricevuto abbondantemente nel Cenacolo, li spinge ad aprire le porte, non solo della casa ma del cuore, per uscire, per annunciare e testimoniare la vita buona del Vangelo, per comunicare a tutti la gioia della fede. Una fede, come significa il dono delle lingue, che deve raggiungere tutte le persone in ogni angolo della terra, fino agli estremi confini.
Carissimi, anche noi oggi, anche tutta la Chiesa e il mondo, siamo riempiti e rivestiti del dono della Spirito Santo. Gesù risorto ci dona la forza e il coraggio di annunciare la sua Parola nelle differenti lingue e culture degli uomini. Siamo invitati a non aver paura di andare a tutti, di non alzare muri ma di costruire ponti per far conoscere ad ogni uomo e donna l’amore, la misericordia e il perdono del Padre. Non tiriamoci indietro. Il mondo ha bisogno di sentirsi dire, anche nella particolare situazione di oggi, che Dio Padre è presente e ci ama, che non ci lascia soli e che cammina insieme con noi. Lo Spirito dona a noi credenti la fatica della creatività perché il Vangelo torni a risuonare davvero significativo e rilevante nell’umanità di oggi.
Nel Cenacolo era presente Maria. Oggi concludendo il mese mariano di maggio, nella festa della Visitazione di Maria ad Elisabetta, affidiamo a Maria il mondo intero, come ha fatto papa Francesco ieri sera. Chiediamole di starci vicina e di non abbandonarci mai. Preghiamo che asciughi le nostre lacrime e ci aiuti ad accogliere la speranza che Gesù risorto ci ha portato, per portare a tutti la gioia del Vangelo.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo