Omelia
Santuario Madonna del Monte, 30 agosto 2022
Funerale Don Sergio Moretto
Letture: 2 Timoteo 4,1-18; Luca 2,25-32
La morte di Don Sergio non ci ha accolti all’improvviso. Era da mesi che il male avanzava e in questi ultimi giorni è andato spegnendosi. C’è stata un’interrotta catena di persone, amici, del Cammino Neocatecumenale insieme ai ‘suoi sacerdoti’ – quelli che ha portato all’altare- che lo ha vegliato e lo ha accompagnato nel passaggio al Regno di Dio. In una delle ultime visite fatte con don Basilio alla via di Natale, che do Sergio amava definire la sua casa, ci citò due espressioni di San Paolo che rivelano la grandezza e la santità di questo ‘umile prete’. Così amava definirsi.
° Cupio dissolvi et esse cum Christo. “Ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo” (Filippesi 1,23). Non era il desiderio di morire perché stanco di vivere o per le sofferenze e il dolore a causa della malattia, quanto di vivere pienamente, in pienezza, incontrandosi con il Signore Gesù e con Maria che tanto amava.
°Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la Fede” (2 Timoteo 4,7). Così è morto don Sergio. Un cammino faticoso e doloroso ma sempre ricco di fede e di speranza nella venuta del Signore, che tanto invocava e desiderava, proprio per essere sempre con lui.
Le letture scelte per questa celebrazione ci aiutano a vivere anche noi con quella fede e speranza che ha contraddistinto la vita e il morire di don Sergio, morto come un grande patriarca. Ogni sera, alla fine della giornata, recitiamo nella Compieta il ‘Nunc dimittis’, l’ultimo inno del Vangelo dell’infanzia di Luca, entrato nella preghiera serale fin dal V° secolo. Simeone, in quel bambino, ha visto avverarsi l’alba messianica che si stava chiudendo per Israele e per tutti i popoli della terra. La festa della Presentazione di Gesù al tempio, in Oriente viene chiamata la festa dell’Incontro. Gesù vieni incontro a noi e noi, come Simeone, andiamo incontro a lui, per accoglierlo e riconoscerlo come il compimento delle promesse. Solamente dopo averlo riconosciuto, Simeone eleva questo canto di lode al Signore, alla sera della sua vita. Desidero proporvi una semplice considerazione che nasce dalla testimonianza di fede che ci ha dato don Sergio. Il ‘Nunc dimittis’ è un cantico che rientra nell’ormai scomparsa arte di prepararsi alla morte. È un atto che va decisamente controcorrente nella nostra società occidentale, dove si parla sempre di più della ‘bella morte’, perché procurata o perché si desidera improvvisa e da incoscienti. In questo modo non c’è bisogno di prepararsi, integrando nella preghiera e nella fede il morire. Questa preghiera antica aiuta a chiudere la giornata con un atto di fede che riconosce la vita come dono, aiutando a prepararsi all’incontro definitivo con il Signore. Don Sergio si è preparato alla morte così come ha fatto l’anziano Simeone. Non l’uomo in rivolta, disperato, che si scaglia contro Dio, né l’uomo angosciato, che è stanco della vita e vorrebbe che tutto finisca subito. Ma l’uomo e il prete che ringrazia, benedice e prega, riconoscendo la presenza di Dio in tutta la sua vita. La grandezza di Simeone così come la grandezza di Don Sergio sta nella loro fede e umiltà. Ogni tanto don Sergio mi ricordava una battuta che gli facevano in seminario: “Tasi ti, che te vien da Torrate”. Guardando il suo curriculum penso che non sia proprio appropriata, anche se questa bruciava ancora, ricordandogli non tanto la sua provenienza contadina, quanto che da quella terra non poteva venire niente di buono! Ma lui si è sentito fino in fondo così, un povero e umile servitore della Chiesa, uno degli ultimi, dimenticandosi, talvolta, che proprio questi sono i prediletti del Signore.
È difficile riassumere tutto quello che don Sergio ha fatto e ha vissuto nei suoi 85 anni di vita e 61 di prete. Quando il vescovo lo chiamava, lui andava e accettava qualsiasi proposta, anche se il progetto non era ben chiaro o non comprendeva fino in fondo la missione da svolgere. Dopo i primi anni di vicario parrocchiale a San Stino e a Sant’Andrea di Portogruaro, è stato inviato a compiere il ministero pastorale in alcuni ambiti diocesani, a diretto contatto soprattutto con ragazzi e giovani, nel Collegio Marconi e poi nel Villaggio del Fanciullo. Successivamente gli fu chiesto di andare nella missione diocesana in Kenya come Fidei Donum. Accetto volentieri e iniziò la preparazione dello studio della lingua in Inghilterra. Ma purtroppo, alcune difficoltà familiari gli hanno impedito di partire. La passione per la missione e il desiderio di evangelizzazione, lo accompagnò illuminando il suo servizio pastorale in diocesi. Così inizia la sua esperienza di parroco: a Marsure del 1970 al 1976, esattamente iniziando il suo servizio proprio 52 anni fa e nella parrocchia di San Giorgio di Porcia dal 1979 al 1998, per ben 19 anni. Dal 1976 al 1979 aveva prestato il suo servizio nell’Azione Cattolica Diocesana e nella Casa madonna Pellegrina. Nel 1998 gli viene chiesto di andare a Bibione per seguire la nuova realtà che stava nascendo, conclusa l’era della colonia diocesana. Vi rimase poco, perché il progetto non era ben chiaro, cosi che il vescovo Ovidio, nel 2001 lo nominò parroco di Cesarolo-Baseleghe, incarico che coprì fino al 2012, quando al sopraggiungere dei 75 anni, lo nominai Rettore del Santuario diocesano Madonna del Monte. Appena ci fu la necessità, si rese disponibile anche a fare il Cappellano nel Monastero di Poffabro, fino poi a diventare Amministratore della parrocchia, concludendo così il suo ultimo servizio pastorale. Significativa la scelta di riposare nel cimitero della sua ultima parrocchia, Poffabro.
Sarebbero numerose le sottolineature da evidenziare in merito ai suoi servizi pastorali. Ne richiamo solamente due. Significativo la sua lunga permanenza a san Giorgio di Porcia. Qui manifestò tutta la sua dedizione e la sua vicinanza alla gente. Desiderava che tutti, in un modo o nell’altro, potessero incontrarsi con l’amore di Dio. Per usare un’espressione cara a Papa Francesco, fu un pastore con l’odore delle pecore, senza mai risparmiarsi per raggiungere tutti e per portare a tutti il messaggio di Gesù. Anche le numerose costruzioni e restauri che ha fatto, non solo qui ma anche in tante altre parti, erano per offrire spazi puliti e dignitosi per lo svolgimento delle varie attività pastorali. Prestò attenzione in modo particolare all’Evangelizzazione, favorendo le realtà associative sia in ordine alla formazione, come l’Azione Cattolica, gli Scouts e il Cammino Neocatecumenale, che alle realtà caritative, come il centro il Giglio e l’Associazione Arcobaleno, che fondò insieme alle suore Figlie di San Giuseppe. Affrontava con serenità, fondata nella fede, ogni problema e ogni situazione con il suo carattere buono ma anche fermo e deciso. In qualche circostanza si mostrò ancora più deciso e forte, per raggiungere quello che desidera e che riteneva importante. Un prete ricco di fede, di preghiera e di carità. Nel suo ministero ha sempre avuto una cura particolare per le vocazioni. Ben 4 giovani dalle sue parrocchie sono diventati preti, e altri accompagnò all’interno del Cammino.
Desidero richiamare un altro aspetto: la sua devozione e il suo attaccamento alla Madonna. Lo ha dimostrano nel seguire con tenacia e per anni, a Cesarolo, le varie fasi per accogliere la donazione alla parrocchia dell’isoletta nella Laguna veneta, che conserva l’effige della Madonna del Mare, Stella dell’Evangelizzazione. Luogo che con passione e con cura ha sempre custodito e amato, fino a poco tempo fa, facendolo diventare un luogo di preghiera. Accettò con gioia e gratitudine la proposta che gli feci nel 2012 di diventare Rettore del Santuario diocesano Madonna del Monte. Non sapevo che 42 anni prima fosse stato parroco a Marsure. E lui mai pensava di ritornarci con questo incarico. L’ha accolto come un segno della Provvidenza e un dono di Dio. Ha vissuto questi anni nel servizio di accoglienza dei pellegrini che giungevano al santuario, dedicandosi all’ascolto, alla predicazione e alle confessioni. Nel suo tempo libero abbellì il santuario e le vicinanze con uno stupendo giardino. Diceva: “Il bello va coltivato perché anche Gesù fu sepolto in un giardino”.
La sua dipartita lascia un vuoto, vuoto che tuttavia sentiamo ricolmo dalla sua fede e carità verso tutti. Con Sant’Agostino possiamo pregare anche noi: “Signore non ti chiediamo perché ce l’hai tolto, ma ti ringraziamo per il tempo che ce l’hai donato”.
Un grazie sincero a quanti lo hanno accompagnato in questi ultimi tempi: al fratello e ai parenti più stretti, alle Suore di clausura, sempre vicine, a don Riccardo che lo ha aiutato molto nel periodo della sua permanenza al santuario e nei due mesi trascorsi nella via di Natale. Un grazie sentito alle suore e a tutto il personale della Via di Natale che gli sono sempre stati vicini con amore e con cura.
+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo