Meditazione ritiro del clero
Santuario Madonna del Monte, 14 maggio 2020
Valore dell’assenza
In questi mesi di restrizioni nell’esercizio del ministero, impossibilitati di incontrarci tra di noi e di relazionarci con le persone (se non tramite il telefono o altri strumenti di comunicazione), abbiamo avuto un po’ più di tempo per riflettere, per pregare. Siamo, così, stati aiutati a leggere in maniera ‘sapienziale’ questo tratto particolare della vita. Un tempo, che possiamo definire dell’assenza, della mancanza della vita della comunità cristiana; della mancanza di relazioni con le persone, mancanza di tante attività pastorali, e per tante persone, mancanza della celebrazione dell’Eucarestia e dei sacramenti.
Ci sono modalità differenti per interpretare questo tempo. Mi ha aiutato parecchio la meditazione dei testi che ci ha proposto l’Ufficio delle Letture della prima parte della Quaresima: il libro dell’Esodo, in particolare l’esperienza del deserto che Dio ha fatto fare al suo popolo, prima di entrare nella Terra Promessa. Il deserto, infatti, evoca aridità, privazione, mancanza di cibo di acqua e soprattutto mancanza di Dio. Ma Dio, nel suo grande amore, lo ha trasformato in un luogo dove è possibile fare un’esperienza intima e profonda del suo amore, della sua provvidenza e della sua tenerezza verso ‘umanità. Il deserto è pure il luogo dell’Alleanza di Dio con il suo popolo, cosi che nel deserto nasce la speranza attraverso l’alleanza che Dio conclude nuovamente con il suo popolo. Ce lo ha ricordato il profeta Geremia: “Porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo” (31,34). Da un’esperienza di privazione e di rimpianto del tempo passato, che risulta sempre migliore del presente, il popolo, passo dopo passo, impara a riconoscere una nuova modalità di presenza di Dio.
Questa esperienza ci aiuta a comprendere che l’apparente assenza di Dio, ci può far crescere e maturare nella fede. Si dice che l’assenza fa svanire le piccole passioni e infiamma le grandi; e come il vento che spegne una candela e alimenta l’incendio. Tanti anni fa, Domenico Modugno, usando un sinonimo cantava: “La lontananza, sai, è come il vento; spegne i fuochi piccoli ma accende quelli grandi”. Anche per noi, questi giorni di assenza di attività e di pastorale, possono aver attenuato il fervore e la passione per il ministero e per l’annuncio del Vangelo, ma possono anche averli alimentati, sostenuti e rafforzati, perché ci hanno aiutato ad entrare in dialogo con il Signore e con i fratelli con più intensità, partendo dal profondo del nostro cuore. In questo tempo pasquale, non sono mancati gli inviti del Signore a riconoscere la sua presenza di risorto. Sappiamo che non stato facile nemmeno per le donne e i discepoli. Alla Maddalena, Gesù dice: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre” (Giovanni 20,17). Maria Maddalena cercava Gesù nella tomba, voleva vedere e toccare quello che era successo. Cristo risorto, invece, la raggiunge in maniera nuova, trasfigurato dalla Pasqua, e la invitata a riconoscerlo con gli occhi del cuore, nella sua interiorità. È così anche per i due discepoli di Emmaus: “Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli spari dalla loro vista… Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme“. Che strano! Lo avevano riconosciuto, avevano il cuore pieno di gioia, stavano bene insieme … e Lui se ne va. Ma nonostante tutto, senza paura e con la gioia nel cuore ritornano a Gerusalemme, facendosi discepoli-missionari, portando il messaggio di Gesù a tutti. Probabilmente, se Gesù fosse rimasto con loro, non sarebbero partiti subito verso Gerusalemme. Questo è il modo di agire di Dio. Carissimi, siamo invitati anche noi a riflettere e a considerare ancora più in profondità, il significato più vero, più profondo per la nostra fede dell’assenza del Signore, di quei momenti di fatica e di privazione che tutti abbiamo sperimentato nella nostra vita, e che, probabilmente, si sono accentuati in questi ultimi mesi. Nell’assenza di Cristo c’è una grazia, un dono particolare, che ci permette di conoscerlo in profondità, superando la sua presenza fisica, per trovarlo nel profondo del nostro cuore.
Pure san Paolo lo aveva sperimentato nella sua vita e nel suo ministero. Gli avversari di Paolo tentavano di scardinare la sua autorità apostolica, sostenendo che il suo ufficio apostolico era inferiore a quello dei Dodici, eletti personalmente da Gesù, mentre Paolo fu chiamato dal risorto sulla via di Damasco. Paolo, invece, afferma chiaramente che ora la relazione che conta di più è quella con il Signore risorto. “Cosicché non guardiamo più nessuno alla maniera umana; se anche abbiamo conosciuto Cristo alla maniera umana, ora non lo conosciamo più così. Tanto che se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2 Corinzi 5,16- 17). Le relazioni con Gesù terreno non hanno più importanza – anche noi non possiamo averle – e non offrono nessun vantaggio per la conoscenza di Gesù. Infatti, dalla morte e risurrezione di Gesù, è nata una nuova realtà, una vita nuova. Il cristiano è l’uomo nuovo. Paolo invita ad assumere una nuova conoscenza di Cristo, non più secondo la carne (catà sarx) ma secondo lo spirito (catà pnèuma). Da ora in poi è possibile conoscere Cristo con una esperienza tutta interiore, spirituale, più profonda e reale.
Gesù aveva predetto ai discepoli il tempo della sua assenza, invitandoli a non essere turbati e a non preoccuparsi della sua lontananza., perché la sua partenza non è abbandono, ma una nuova presenza più profonda ed efficace. “Anzi, perché vi ho detto io me ne vado, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ma io vi dico la verità: e bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi” (Giovanni 16,6-7). I discepoli sono tristi perché non hanno ancora capito che la morte di Gesù è un andare al Padre e non una sconfitta o la fine di tutto. Ecco perché non chiedono a Gesù nessuna spiegazione, chiudendosi nel loro dolore. Gesù invece li rincuora, dicendo loro che è bene – la traduzione più esatta dice: è per voi un vantaggio la mia partenza – perché la presenza e l’aiuto dello Spirito recherà ai discepoli un bene più grande della sua stessa presenza fisica. Il dono del Paraclito e l’avvento di un’epoca nuova, dove si caratterizza l’esperienza di fede dei credenti in Gesù Cristo. Sant’Agostino, San Gregorio Magno e anche San Tommaso hanno commentato il versetto 7, dicendo che la vera conoscenza del Figlio esigeva che fossero superati la semplice conoscenza umana e l’attaccamento legato alla sua presenza terrena. Solo lo sguardo penetrante che ci è donato dallo Spirito Santo, permette tale superamento (cfr. Dufour, Lettura di Giovanni, 927).
Nei versetti successivi (16-22), Gesù riprende il concetto della sua assenza e presenza in modo nuovo, perché si rende conto che i discepoli non hanno ancora compreso che cosa significhi la sua assenza, il suo andare al Padre, come garanzia della sua futura presenza, tramite il dono dello Spirito Santo. L’insistenza dell’evangelista Giovanni su questa tematica (ricorre nel capitolo 14), indica che non si riferisce soltanto alla sorte di Gesù e dei discepoli, ma anche alla prima comunità cristiana, che già sta vivendo sofferenze e persecuzioni; così pure a tutte le comunità cristiane chiamate a condividere la sorte del maestro. Possiamo pensare alle comunità cristiane di oggi e alla sofferenza di molti che non hanno potuto partecipare alla vita sacramentale della comunità. Mancando Gesù, cresce la paura di trovarsi indifesi davanti agli attacchi del mondo e del maligno. Gesù, mentre sale al cielo, mentre se ne va, risponde promettendo il dono e l’assistenza dello Spirito, che sarà sempre e per sempre con noi: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20).
Testo per la meditazione: Giovanni 16,16-22. “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete. Allora alcuni dei suoi discepoli dissero loro: che cos’è questo che ci dice: un poco e
non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete, e: io me ne vado al Padre? Dicevano perciò: cos’è questo un poco di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire. Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: state indagando tra voi perché ho detto: un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete. In verità, in verità io vi dico: voi piangerete gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto nel mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia “.
Vi offro due semplici considerazioni.
- L’insistenza nei primi versetti (16-19) su ‘un poco e mi vedrete, e un poco ancora e non mi vedrete’. L’evangelista non vuol separare il tempo di Gesù con il tempo dello Spirito e della chiesa. Compito dello Spirito e di rivelare nella sua pienezza Gesù, togliendolo dai limiti dello spazio e del tempo, La sparizione di Gesù è momentanea perché verrà lo Spirito e abiterà dentro di noi, facendoci sentire la presenza viva del Risorto. Andare al Padre è la garanzia della sua futura presenza tra noi, che supera le leggi della storia e dello spazio, proprio perché Gesù è risorto, rimanendo per sempre con noi, presente e vivo nel cuore delle persone e nei segni sacramentali della
- Negli ultimi versetti, Gesù ci ricorda che facendo così, la tristezza che esprimeva la sofferenza e la prova dolorosa dei discepoli di fronte alla sua morte, si trasformerà in gioia. Bella e significativa l’immagine del versetto 21: la donna che partorisce. Questa immagine può essere letta nella prospettiva della morte e resurrezione di Gesù e anche della tristezza/gioia dei discepoli e della comunità. Immagine che richiama quella del chicco di frumento che se caduto in terra e non muore, non può portare frutto (cfr. Giovanni 12,24).
Gesù non ci vuole illudere. È consapevole che dovremo affrontare tutti, prima o dopo nella vita, momenti di dolore e di prova. Quante volte a livello personale, ministeriale e nella relazione con le persone, ci siamo trovati davanti alla morte, alla sofferenza e al male che c’è e agisce ancora. Quante volte ci siamo chiesti anche noi: ‘Ma quanto dura questo un poco e non mi vedrete?’. Spesso la nostra vita corre tra queste due esperienze: tristezza e gioia, tra non vederlo e vederlo. Anche il discepolo, come la sposa del Cantico dei Cantici, deve passare attraverso il succedersi della presenza dell’assenza. “Mi alzerò e farò il giro della città per le strade e per le piazze, voglio cercare l’amore dell’anima mia. L’ho cercato ma non l’ho trovato” Cantico dei Cantici 3,2). A chi lo cerca, Dio spesso si nasconde o resta in una luce velata. Si nasconde, ma solo per accrescere in noi il desiderio di cercarlo. Come in montagna, al rischio e alla fatica che si corre durante la salita, subentra la gioia di essere giunti sulla cima e del panorama da contemperare. Dio non si conosce per sentito dire, perché altri ce lo hanno raccontato, ma si conosce direttamente, per esperienza personale di incontro con lui perché la conoscenza di Dio è soprattutto esperienza di amore.
Gesù assicura i discepoli e assicura anche noi che la sua è una morte per amore e non la fine della vita. Così come i nostri dolori e le nostre sofferenze, se vissuti per amore, daranno vita a una realtà nuova, ad una presenza di Gesù che rigenera e porta vita. L’assenza di Gesù è un cambiamento della sua presenza, un modo diverso di farsi vedere. Grazie allo Spirito che ci ha donato, lui sarà sempre con noi. Quello che ci fa problema, talvolta, e quanto può durare ‘questo poco’, perché spesso sembra un’eternità. Questo succede quando guardiamo la realtà solo con gli occhi fisici e non con gli occhi della fede. Siamo convinti veramente che la presenza di Gesù si trova dentro di noi e si può vederla solo con gli occhi del cuore? Cosa può comportare nella vita di ogni giorno? quali scelte sono chiamato a compiere? Quale stile di vita assumere? Il cristiano è colui che guarda in profondità, che non si ferma alla prima apparenza, che scorgere, anche dentro le prove, la realtà nuova, gloriosa che deve sbocciare. Perché ci sia vero amore, è necessario passare attraverso la prova della lontananza e dell’assenza.
Carissimi, è lo Spirito Santo che ci dona la fede, ed è per la fede che Gesù abitano nei nostri cuori. Tutto, veramente tutto, anche la croce e le sofferenze sono grazia. Facile da dire, ma molto più difficile da vivere. Penso alla fatica e alle difficoltà, per noi sacerdoti, vissute in questi mesi di forzata chiusura, senza aver potuto celebrare con le nostre comunità, privi della possibilità di esercitare il ministero dell’ascolto, della riconciliazione, della formazione delle persone. Per noi è stata un’assenza della presenza di Gesù nella comunità e talvolta anche dentro il nostro cuore.
Con la forza e la potenza dello Spirito, siamo invitati a trasformare questi momenti in grazia, in una opportunità per consolidare e rafforzare la nostra fede, una fede che si nutre e cresce a partire dalla lontananza e dalla sofferenza, per farci scoprire la ricchezza e la profondità della presenza di Gesù dentro di noi e nel nostro cuore. È anche una bella occasione per far crescere le nostre comunità, aiutandole a maturare una fede forte e solida. Nell’interiorità, nella profondità del nostro animo e del nostro cuore, con la potenza dello Spirito Santo che Gesù ci ha donato, possiamo anche oggi ascoltare la sua voce e scoprire che Dio ci ama, che Lui è dentro di noi, che non possiamo più vivere senza di Lui. Una parola che ci chiama a continuare l’opera di salvezza di Gesù, portando ai fratelli e alle sorelle che ci sono stati affidati, la sua presenza viva, il suo amore operoso e la carità senza limiti.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo