Omelia apertura Anno della Fede – Pordenone, 11 ottobre 2012

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Omelia apertura Anno della Fede

Pordenone, 11 ottobre 2012

 

“O Signore, siamo anche noi questa sera come i tuoi primi discepoli. La nostra fede è accompagnata talvolta da poca disponibilità, da rigidità di cuore e da incapacità di comprenderti. Fa che non ci spaventiamo della nostra durezza d’animo ma che, perseverando nella preghiera, possiamo giungere a capire i segni della tua presenza e così gridare: “E’ il Signore” (Giovanni 20,7), consapevoli che nella forza della Pasqua tu riscaldi i nostri cuori con la delicatezza della tua esistenza e con la forza del tuo Santo Spirito!”.

Oggi viviamo una giornata di memoria e di rendimento di grazie per quanto lo Spirito ha compiuto nella Chiesa e nel mondo in questi cinquant’anni. Anche la pagina di vangelo proclamata ci accompagna a riscoprire che il senso profondo della nostra vita e il cammino di fede che stiamo percorrendo non sono pensabili se non sotto l’azione e la docilità allo Spirito, che in questo momento anima e guida la nostra preghiera. Pregare non significa elencare a Dio i nostri bisogni o i nostri desideri: Lui li consoce già. Pregare vuol dire creare le condizioni necessarie per vivere una relazione più profonda e più autentica con il Signore, stabilendo con Lui un dialogo personale e filiale. E proprio nell’esperienza di una preghiera più intensa e talvolta anche sofferta che ci è dato di andare nel profondo di noi stessi per scoprire i veri desideri e per aprirci alla novità dello Spirito. In questo modo la preghiera diventerà anche la fonte e la sorgente di buone relazioni da sviluppare tra di noi. La vicenda dei Galati di cui ha parlato la prima lettura ci insegna che l’autentico cammino di fede ci aiuta a non lasciarci incantare da una religiosità fatta solo di cose da fare o da osservare, ci sollecita a stabilire con Dio un rapporto leale e sincero e, ancora, ci guida ad accogliere la presenza dello Spirito che abita in noi e orienta il cammino nella via che Dio ci ha tracciato.  “E’ per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola delle fede?” (Galati 3,2).

Con la limpida capacità di leggere i segni dei tempi e con sollecitudine per la fedeltà della Chiesa al suo Signore, Benedetto XVI invita tutte le Chiese locali a far proprio il progetto di un intero anno pastorale dedicato alla fede: per ravvivare la consapevolezza di quanto è prezioso questo dono, per riflettere sugli ostacoli e i problemi che incontra oggi, e per riservarle tutta la cura che essa merita. Scrive il Papa nella sua Lettera apostolica “Porta Fidei”, dopo aver evocato le difficoltà che la fede incontra: “Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14). Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli (cfr Gv 6,51). L’insegnamento di Gesù, infatti, risuona ancora ai nostri giorni con la stessa forza: “Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la via eterna” (Gv 6,27). L’interrogativo posto da quanti lo ascoltavano è lo stesso anche per noi oggi: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?” (Gv 6,28). Conosciamo la risposta di Gesù: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Credere in Gesù Cristo, dunque, è la via per poter giungere in modo definitivo alla salvezza”.

Varchiamo con gioia e con entusiasmo la porta della fede! Ce lo chiede il mondo di oggi, ce lo chiedono tante persone che vivono nel buio e che faticano a ritrovare da sole il senso della vita. Carissimo vescovo Ovidio, carissimi presbiteri, diaconi, religiosi e religiose. Carissimi fedeli laici, sia che condividiate in modo corresponsabile con i vostri sacerdoti il cammino della comunità parrocchiale sia che viviate il vostro essere Chiesa all’interno di qualche gruppo, movimento o associazione; carissimi fratelli delle altre chiese e comunità cristiane. Signor Prefetto, signori Sindaci e altre Autorità del mondo politico, civile, amministrativo o militare; la nostra società sta vivendo un passaggio faticoso, a tratti drammatico. Anche in questa nostra terra, tra Livenza e Tagliamento, si sta perdendo la speranza e la fiducia per un futuro più sereno e per un mondo più umano, che metta a frutto fino in fondo i valori fondamentali della nostra fede. Stiamo costatando in maniera concreta i limiti di una società che ha posto la sua fiducia nel consumismo, nel neo-liberismo selvaggio – che ha spento ogni speranza nelle giovani generazioni – e nell’individualismo che non rispetta il bene comune e la dignità della persona umana. E’ l’ora di una solidarietà più vera! E’ il momento di ribellarsi contro ogni forma di corruzione, ancora presente. Come Chiesa siamo chiamati a portare nel mondo un messaggio di speranza. Per questo ci facciamo vicini e incoraggiamo tutti coloro che hanno responsabilità pubblica e si trovano impegnati nella promozione del bene  comune con spirito di servizio e di gratuità. Cinquant’anni anni fa, l’11 ottobre 1962, Papa Giovanni XXIII, in apertura del Concilio Vaticano II esortava a non dare ascolto ai profeti di sventura che annunziano sempre il peggio, ma piuttosto a “vedere i misteriosi piani della Divina provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini …”. Così possiamo affermare che anche la nostra Chiesa diocesana continua a conoscere segni positivi che ci incoraggiano a guardare verso il futuro. Fra i tanti mi par di poter annoverare la generosa disponibilità dimostrata in questi giorni dai sacerdoti coinvolti nei trasferimenti, che hanno un po’ cambiato il volto della diocesi, e la bella e gioiosa accoglienza da parte delle comunità parrocchiali: a tutti ancora una volta un grazie per la bella testimonianza di fede e di servizio che nasce – non ho dubbi – dall’accoglienza del vangelo. E’ importante che anche noi riaffermiamo con più convinzione e forza, senza paura, i veri valori del vangelo, il messaggio di speranza e di liberazione che Gesù porta a tutti. Noi siamo consapevoli che la fede, che è accesso alla comunione con Dio e accoglimento della verità che ci ha affidato, è un bene prezioso che merita ogni cura. Aiutati da questo dono possiamo difenderci dagli errori e dagli inganni anche del nostro tempo, possiamo aprirci ad una speranza che non viene meno davanti a difficoltà di ogni tipo, possiamo rendere docile il cuore all’azione dello Spirito di amore, con i suoi doni, che sono: “ amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Galati 5,22). Siamo  consapevoli di dover custodire il dono della fede a vantaggio anche di coloro che l’hanno smarrita o non l’hanno mai avuta. Gesù ha detto, infatti: “Voi siete il sale della terra. (…) Voi siete la luce del mondo. (…) Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli” (Matteo 5, 13-16). In questo senso ci sentiamo chiamati a maturare una conoscenza più precisa e sistematica della fede. Il Catechismo della Chiesa Cattolica insieme con il Compendio, definiti uno dei frutti notevoli del Vaticano II, costituiscono in questo uno strumento prezioso e indispensabile.

Anche la nostra diocesi, con un suo piano pastorale triennale “Chiamati a diventare comunità di credenti nella corresponsabilità”, piano che verrà consegnato a tutti alla fine della celebrazione, intende far proprie le indicazioni della Chiesa , adattandole alla nostra situazione locale. Nel documento abbiamo scritto: “Ai battezzati che formano la Chiesa di Dio che è in Concordia-Pordenone proponiamo un percorso che ha come oggetto la fede e che parte da una decisione: ripartire da Dio. Ripartire da Dio vuol dire confrontare tutto ciò che siamo e facciamo con l’amore e la paternità di Dio. (…) Ripartire da Dio vuol dire misurarsi su Gesù Cristo e quindi ispirarsi continuamente alla sua Parola, (…) Ripartire da Dio vuol dire abbandonare al soffio dello Spirito il nostro cuore inquieto, perseverare nella notte dell’adorazione e dell’attesa”. In particolare in questi tre anni desideriamo porre una rinnovata attenzione alla famiglia, cellula della chiesa e della società e ai giovani, speranza di un mondo migliore.

Sarebbe bello se stasera, terminata la celebrazione, questo palazzetto in cui ci siamo radunati potesse vibrare, così come tremò il luogo in cui i primi cristiani si erano riuniti a pregare, secondo il racconto del libro degli Atti (cfr. Atti 4,31). Sarebbe bello se tutti fossimo colmati di Spirito Santo, pronti ad annunziare la Parola di Dio, tutti insieme come Chiesa, avendo davanti quanto la Lumen Gentium, il documento più bello del Concilio Vaticano II, riflette sul mistero della Chiesa!

 

Otto capitoli che potremo definire come le otto beatitudini della Chiesa, di ieri e di sempre:

Beata sei tu, Chiesa, perché sei mistero!

Beata sei tu, Chiesa, perché sei Popolo di Dio!

Beata sei tu, Chiesa, per la tua gerarchia!

Beata sei tu, Chiesa, per il tuo laicato!

Beata sei tu, Chiesa, per la tua santità!

Beata sei tu, Chiesa, per i tuoi religiosi e religiose!

Beata sei tu, Chiesa, per il tuo destino eterno!

Beata sei tu, Chiesa, per la tua Madre Maria!

Amen.

Sia lodato Gesù Cristo!

+ Giuseppe Pellegrini

Pordenone
11/10/2012
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia