Omelia nella “Solennità di tutti i Santi” Pordenone, 1 novembre 2012

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Omelia nella “Solennità di tutti i  Santi

Pordenone, 1 novembre 2012

 

“Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Matteo, 5, 12a). Con questo invito alla gioia, Gesù termina il discorso della montagna. Ed è proprio con questo invito alla gioia che la liturgia ci invita a vivere oggi la Solennità di tutti i Santi. Non solo perché in un’unica festa ricordiamo tutte le persone che sono state canonizzate dalla Chiesa in questi 20 secoli di storia, ma anche per tutti quegli uomini e quelle donne di cui non conosciamo il nome, che sono vissuti nella storia senza lasciare nessuna traccia di sé, e che ora, in Paradiso, godono la visione beatifica di Dio. Come ci ricorda il libro dell’Apocalisse, sono quella “ moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, lingua e popolo” (7,9).  Non una folla anonima: ma una moltitudine di persone, ciascuna con la propria identità, perché conosciuta e amata personalmente da Dio, salvata dal Sangue dell’Agnello.

La memoria dei Santi illumina anche la celebrazione di domani, nella quale la Chiesa fa memoria di tutti i defunti e ci invita a guardare con fiducia alla stessa nostra vita, a superare la paura della morte, che tutti ci portiamo dentro.  Ci aiuta anche ad avere uno sguardo di autentica speranza per il tempo in cui viviamo; siamo invitati a non vivere imprigionati del nostro piccolo mondo, quello che esiste dentro l’immediatezza del nostro poter “vedere”; ci è chiesto di superare tutte quelle paure che ci nascono nel cuore, nate da pregiudizi, da incomprensioni, da divisioni e da inimicizie. Oggi siamo invitati ad accogliere un messaggio di bellezza: siamo parte di un popolo, il Popolo di Dio, formato da culture, lingue e tradizioni diverse ma – come ci insegna il documento conciliare Lumen Gentium – segno dell’unità della famiglia umana. Si dice infatti: “Tutti gli uomini sono chiamati nel nuovo Popolo di Dio. Perciò questo popolo, restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli” (LG 13).  Le parole dell’Apocalisse sembrano però delineare un altro mondo, lontano dal nostro, irraggiungibile e perfino impossibile da realizzare. Ci sono ancora guerre fratricide, popoli che si combattono e si uccidono quotidianamente. La povertà e la miseria di tantissime genti ci è posta innanzi ogni giorno, nelle notizie della televisione e dei giornali. E’ un popolo di poveri, di sfruttati, di gente che piange, di perseguitati per causa della giustizia. Nasce, in noi, questa domanda: “… allora, quale speranza, quale gioia, quale giustizia? Siamo o non siamo parte di quella moltitudine? oppure, alla fine della nostra vita, entreremo anche noi nell’anonimato della storia?

Per ricercare e trovare una risposta, è necessario che ci poniamo – con chiarezza – un’altra domanda: “come si fa ad appartenere a quella moltitudine immensa, a coloro che hanno la possibilità di incontrare Dio? Come possiamo dare un senso ed un valore vero alla vita di ogni giorno? A questo interrogativo ha risposto l’apostolo Giovanni, quando ci ha detto che è necessario “portare impresso sulla fronte il sigillo di Dio”, il segno di colui che vive in questo mondo ma sa che non gli appartiene; di colui che nella vita passa attraverso la grande tribolazione senza soccombere, comprendendo e accettando il mistero del chicco di grano che, caduto per terra muore per portare più frutto; di colui che indossa le vesti candide di coloro che stanno davanti all’Agnello, rivestiti della dignità e della bellezza dei Figli di Dio e purificati dal sangue di Cristo, l’unico capace di autentica liberazione e salvezza. In definitiva, ci viene detto e chiesto di imparare a vivere e spendere la vita per amore, come ha fatto Gesù. Ecco il Santo, ecco la santità che la Chiesa oggi ci propone! Tutti possiamo far parte della moltitudine, tutti possiamo vivere nella Chiesa, se seguiamo la strada che il Signore Gesù ci indica, la strada delle Beatitudini.

La via della santità, diversamente da quanto spesso si crede – e lo crediamo talvolta anche noi – non è la strada degli eroismi (anche se questi ci sono!), degli eventi prodigiosi, della perfezione al di sopra di ogni capacità umana. Il messaggio prezioso che oggi ci viene ribadito è che: “Tutti possiamo essere e diventare Santi”. Infatti, ciò che rende santi, non è innanzitutto il nostro impegno, la nostra buona volontà, i nostri sforzi. Ciò che ci fa santi, è il dono di Dio, il suo amore per noi, la sua grazia che ci illumina e ci pervade. La santità è, prima di tutto, una partecipazione alla santità di Dio, perché Lui, e Lui solo è il Santo. Ogni domenica, nell’inno del Gloria che recitiamo durante la S. Messa diciamo: “perché tu solo il Santo, tu solo il Signore, tu solo l’Altissimo”. Dio condivide con noi tutto questo, ci fa partecipi della sua caratteristica più bella e più grande: la santità. Come ci ricorda San Giovanni nella sua prima lettera, Dio ci ha comunicato il suo grande amore facendoci suoi figli, comunicando a noi la sua stessa natura! A noi ora la scelta, la decisione di accogliere o rifiutare questo grande dono che Dio ci fa: l’invito ad incamminarci lungo la strada della santità.

Nelle Beatitudini Gesù traccia un itinerario, ci indica una via per accogliere il dono della santità e per diventare santi. E’ un itinerario diverso dalla felicità che ci propone il mondo, che proclama beati i ricchi, i furbi, i forti e i belli, e soprattutto chi fa il proprio interesse. Le Beatitudini, sintesi del messaggio evangelico, diventano lo stile di vita del credente. Non sono un codice di comportamento o una norma che ci viene imposta dall’esterno, ma una forza liberante e un dinamismo interiore che ci permettono di vivere nella novità di vita che Gesù in prima persona ha vissuto e che offre a ciascuno di noi. Chi sono allora i beati, i santi che il Vangelo proclama? Sono i poveri, i miti, i perseguitati, i puri di cuore. Carissimi tutti, siamo invitati oggi a compiere una scelta ben precisa, tra due visioni della felicità e della gioia: quella effimera del mondo e quella ben più radicale ed appassionata di Gesù propostaci dalle beatitudini. Non lasciamoci condizionare dalle apparenze, guardiamo un po’ più in profondità dentro noi stessi: lì scopriremo che la felicità che il mondo ci offre è una gioia passeggera, che dura poco perché non entra nel cuore, non mette radici nel profondo della persona umana. La felicità evangelica invece nasce dall’accogliere nella propria vita l’iniziativa di Dio, che ci inserisce nel suo Regno, regno di giustizia, di amore e di pace. Le Beatitudini sono le parole che ci permettono ogni giorno di far parte della famiglia di Dio e di gustare la bellezza di essere suo Popolo, un popolo nel quale non esistono divisioni e conflitti, dove l’unica legge è la legge della carità, dell’amore, della condivisione e della solidarietà.

Aspiriamo pertanto a questa santità, che è comunione con il Signore e vita serena e gioiosa tra fratelli. Non scoraggiamoci, bloccati dalla paura di perdere noi stessi. Apriamoci all’amore di Dio. Sentiremo una serenità, una pace interiore che ci farà sperimentare realmente la bellezza del cammino verso la santità.

 

Sia lodato Gesù Cristo!

 

                                                                       + Giuseppe Pellegrini

Pordenone
01/11/2012
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia