Omelia celebrazione 25° anniversario visita di San Giovanni Paolo II
Concordia, 1 maggio 2017
Care sorelle e cari fratelli, è con gioia che oggi ricordiamo e celebriamo il 25mo anniversario della vita pastorale del papa san Giovanni Paolo II alla nostra diocesi di Concordia-Pordenone. Sono passati tanti anni, ma il ricordo, per molti di voi, è ancora forte e vivo. Sono stati giorni indimenticabili perché il successore di Pietro era venuto per confermare la fede nel Signore Gesù, con parole di speranza e con un accorato e caldo invito a conservare la fede che ci era stato portata nel IV secolo dell’era cristiana, per poi trasmetterla amorosamente, di generazione in generazione, fino ai nostri giorni. “Si rileggono sempre con commossa ammirazione – diceva nell’incontro con voi il 1 maggio 1992 – le parole di san Cromazio. Egli riconosceva che i fedeli della Comunità di Concordia sollecitati dall’esempio di altre Chiese, avevano costruito e completato rapidamente il proprio tempio”. E ancora più forte risuonò il suo appello: “So quanto sia stato e quanto continui ad essere grande il vostro impegno nel difendere i perenni valori della fede cristiana, posta a solido fondamento della vostra tradizione. Vi incoraggio, fratelli e sorelle carissimi, a non cedere mai alle ricorrenti tentazioni della cultura edonistica e ai richiami del consumismo materialista. Fedeli al ricco patrimonio di valori del passato, guardate alle sfide emergenti del nostro secolo con prudenza e coraggio, con saldezza di principi e saggia attenzione ai “segni dei tempi”.
Mentre ringraziamo il Signore per il dono che ha fatto alla nostra Chiesa, ci chiediamo quanto in questi anni abbiamo accolto e vissuto questo forte invito che il papa ci ha rivolto. Giovanni Paolo II è stato un grande che ha fatto storia e che ha traghettato la Chiesa nel passaggio dal XX al XXI secolo, aiutando tutti noi credenti e anche l’umanità a non aver paura di seguire Gesù e di metterlo al centro della nostra vita. Ricordiamo il grido rivolto a tutto il mondo all’inizio del suo pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo lui lo sa!”. Noi siamo pieni di paure perché pieni di noi stessi, uomini e donne che faticano di vivere per il Signore e per gli altri, pronti spesso a giudicare e a parlare male del prossimo. Giovanni Paolo II fu un uomo di grande fede e proprio per questo, capace di ascoltare e entrare in relazione con tutti, in particolare con le giovani generazioni. I suoi numerosi viaggi sono la testimonianza di un desiderio profondo di conoscere, di incontrare e di parlare e soprattutto di comunicare la forza del Vangelo di Gesù. La forza che sprigionava gli veniva dal suo incontro personale e quotidiano con Gesù, che aveva scelto come il tutto della sua vita.
Le parole del Vangelo che abbiamo appena ascoltato, alcuni versetti del capitolo 21 di Giovanni, hanno interpellato direttamente papa Giovanni Paolo II e ci interpellano anche noi, oggi. Gesù prima di affidare a Pietro l’incarico pastorale, esige una confessione di amore. Questa è la condizione indispensabile per esercitare un ministero e un servizio nella Chiesa. Pietro, dopo l’incontro e il riconoscimento del Risorto, all’interno di un contesto eucaristico, è pronto a mettersi alla sequela di Gesù e ad accoglie il suo stile di vita, facendolo diventare il proprio stile di vita: una vita donata per amore. Il dialogo tra Gesù e Pietro si articola attorno a tre elementi, ripetuti per tre volte: la domanda di Gesù “mi ami tu?”; la risposta affermativa di Pietro e il conferimento da parte di Gesù del mandato. Gesù esige da Pietro un amore grande, possiamo dire un amore più grande degli altri, un amore che non è solo amicizia, ma totalità piena, perché è un amore non sempre facile da vivere, che domanda il dono totale di sé. Ma non basta l’amore a Cristo per essere pastori. È necessario anche un incarico ben preciso da parte di Gesù, un mandato: “Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore” (v. 15-17). L’incarico che Pietro riceve è per gli altri, ma alla radice sta l’amore per Gesù Cristo. Per servire gli uomini è necessario prima di tutto guardare a Gesù, essere strettamente inseriti in Lui. Infatti, l’appartenenza al Signore è così stretta che il destino del pastore e il destino di Cristo sono inseparabili. Lo abbiamo visto tutti negli ultimi anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Anche nella sua debolezza del corpo e nella malattia, emanava una forza spirituale che conquistava e attirava tutti. Anche noi, carissimi, siamo invitati a mettere l’amore verso Dio e i fratelli al centro della nostra vita e del nostro servizio nella comunità cristiana. L’amore per il cristiano non è un sentimento, un istinto o una passione. È una domanda, una richiesta che il Signore rivolge anche ad ognuno di noi: “Mi ami più di costoro?” (v. 15). Amare è una scelta e un impegno che ci chiede di uscire da noi stessi per mettere il Signore e i fratelli al centro della nostra vita. Amare è uno stile che contraddistingue la nostra presenza nel mondo. Amare è il modo per essere felici!
Concludo con alcune vigorose parole che Giovanni Paolo II pronunciò nell’omelia della S. Messa nella piazza della fiera. Sono un invito per tutta la nostra Chiesa a seguire con gioia ed entusiasmo il Signore Gesù. “Ogni vostra speranza, ogni vostro progetto, carissimi fratelli e sorelle, sia fondato su Cristo. L’opera della nuova evangelizzazione, che voi avvertite come urgente anche nella vostra terra, … sarà efficace soltanto se il Redentore dell’uomo occuperà il centro delle vostre famiglie, di ogni contrada, delle città e dei paesi. Reagite con fermezza e tenacia alle tentazioni dell’egoismo, del consumismo e del secolarismo. Non cedete a una certa mentalità, oggi corrente, che spinge l’uomo a occuparsi in modo esclusivo di ciò che è materiale, trascurando ciò che solo può soddisfare le esigenze più vitali del cuore umano. Come non ricordare, ancora una volta, che soltanto Cristo conosce il cuore dell’uomo ed egli solo è il cibo immortale che lo nutre e lo rende felice?”.
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo