Omelia celebrazione di apertura Visita Pastorale forania di Azzano
Parrocchia Azzano X – 3 novembre 2019
Carissimi, è con gioia che diamo inizio alla visita pastorale nelle vostre 16 parrocchie raccolte in 4 unità pastorali. Il mio più grande desiderio è di portarvi la gioia del Vangelo e la speranza che è ancora possibile, anche ai nostri giorni, vivere e testimoniare la bellezza dell’incontro con il Signore Gesù che desidera entrare nelle nostre case e nei nostri cuori. Abbiamo scelto per questo momento di preghiera il Vangelo di questa domenica, l’incontro di Gesù con il pubblicano Zaccheo, che è l’icona scelta per la visita pastorale. Incontro che ci aiuta ad orientare i nostri cuori verso la gratuità del Vangelo: Gesù, infatti, va incontro ad ogni persona, anche ai peccatori, trasformando la vita di ciascuno in un cammino di vita nuova, animato dall’amore e dalla solidarietà verso gli altri. È successo a Zaccheo e desideriamo che accada anche a ciascuno di noi e alle nostre comunità cristiane.
Zaccheo non aveva certo particolari requisiti per poter incontrarsi con Gesù. Anzi, la sua professione di esattore delle tasse lo portava spesso ad arrotondare il suo stipendio e a trattare male le persone, tanto da farsi odiare da molti. In lui, però, c’era un desiderio: “Cercava di vedere chi era Gesù” (Luca 19,3), e vincendo paura e vergogna, sale sull’albero. Ma prima che Zaccheo potesse dire qualcosa, Gesù lo anticipa e lo sorprende con la forza di uno sguardo e con una parola calda e accogliente lo invita a scendere dall’albero per andare a casa sua. Un incontro che gli cambia la vita, facendogli sperimentare la bellezza e la gioia dell’amore e della misericordia di Dio che lo chiama alla conversione: “Dò la metà di ciò che possiedo ai poveri e. se ho rubato restituisco quattro volte tanto” (19,8).
Carissimi, siamo invitati anche noi oggi, a decidere se rimanere attaccati alle nostre idee, al nostro stile di vita, ai beni che ci offre questo mondo e che ci lusingano un po’, oppure ad abbandonarci all’amore e alla misericordia del Signore, a cadere tra le sue braccia, sperimentando così la sua tenerezza, senza la paura di restituire e di condividere quello che abbiamo con gli altri. Questo è anche il significato che volgiamo dare nel vivere l’esperienza della Visita pastorale: incontrarci con Gesù a livello personale e comunitario, per diventare testimoni liberi e credibili, che si assumono lo stile di vita di Gesù, la forma di Cristo e con coraggio e senza paura lo annunciano nella quotidianità della loro vita. A questo punto sorgono spontanee due domande che ci possono accompagnare durante questi giorni di visita pastorale: siamo pronti, siamo desiderosi di accogliere Gesù? Sappiamo bene che Gesù non entra con forza, non sfonda la porta del cuore, non ci fa violenza né ci obbliga; entra solo se noi lo vogliamo, se lo desideriamo! La nostra comunità cristiana le nostre parrocchie sono un luogo accogliente che favorisce e permette l’incontro con Gesù?
Lo sappiamo bene come oggi non sia facile essere testimoni di Gesù nel mondo, portare il suo Vangelo nelle situazioni più disparate della vita. Vivete in un territorio ricco di fede e di tradizioni, ma anche di fatiche e difficoltà, e non solo materiali. Numerose nostre comunità, piccole o grandi che siano, si sentono stanche e affaticate dalle tante cose da fare, demotivate perché i frutti dell’azione pastorale tardano a farsi vedere perché tante persone, soprattutto le giovani generazioni non avvertono più la necessità di abbeverarsi alla fontana del villaggio, di nutrirsi della Parola di Dio e dell’Eucaristia, abbandonando anche fisicamente la vita della comunità parrocchiale.
Desidero proporvi due semplici considerazioni. Una a livello più personale e l’altra sul versante comunitario. Considerazioni che potrebbero esserci utili per un proficuo dialogo e confronto nei Consigli di unità pastorale e nel Consiglio Pastorale Parrocchiale.
Con il battesimo, come ci ricorda san Paolo, noi battezzati nella sua morte, veniamo rivestiti di Cristo per camminare in una vita nuova (cfr. Romani, 6,3-4), la vita di Gesù. Tutto parte da qui, dal nostro essere innestati nella vita del Signore Gesù, per partecipare così al corpo di Cristo, la Chiesa, condividendo la missione di salvezza dell’umanità. Essere battezzati, significa assumere con consapevolezza e libertà lo stile di vita di Gesù; significa conformarci a Lui per essere segno e testimoni nel mondo del suo amore. Si è appena concluso il mese missionario straordinario voluto da papa Francesco, con questo messaggio centrale: battezzati e inviati. E’ importante, soprattutto ai nostri giorni, riscoprire e ritrovare il senso missionario della nostra fede e della nostra adesione a Gesù, ricevuta gratuitamente nel battesimo: carissimi tutti, presbiteri laici, è in forza del battesimo ricevuto, della nostra unione profonda con Cristo e tra di noi, che troviamo la forza di uscire da noi stessi, dalle nostre comunità per annunciare e testimoniare l’amore incondizionato di Dio per l’umanità, per ogni uomo e donna di qualsiasi cultura, condizione sociale, fede e tradizione. Non abbiate paura, non chiudetevi in voi stessi, ma andate, percorrendo le strade del mondo, da quelle più conosciute del vostro territorio a quelle più lontane, e annunciate l’amore e la misericordia del Padre.
Da qui nasce la necessità, anche per la nostra Chiesa diocesana e per le nostre comunità cristiane e parrocchiali di riscoprire la bellezza e la centralità della vocazione cristiana del battesimo che abilita voi laici, ad una missione particolare nella Chiesa. È il tempo di valorizzare di più la vocazione battesimale che è fondamentale, centrale e più grande degli altri sacramenti. Deve partire da qui anche il tema della corresponsabilità vera tra preti e laici, che fa fatica a trovare occasioni e opportunità perché i laici siano valorizzati di più all’interno delle nostre parrocchie. Papa Benedetto XV invitava voi laici a passare decisamente dalla collaborazione alla corresponsabilità. I laici non devono essere solamente collaboratori del clero, agire su mandato dei preti, ma autentici corresponsabili dell’agire e dell’essere Chiesa.
Il battesimo ci abilita a diventare costruttori della Chiesa, ad essere e vivere in prima persona il nostro essere parte viva della Chiesa. Viene spontanea, allora, porci un’altra domanda: “Quale Chiesa vogliamo essere per i nostri giorni? Quale Chiesa essere per annunciare il Vangelo di Gesù? Su questo aspetto siamo spronati dalla testimonianza e dalla predicazione di papa Francesco che ci invita ad essere una Chiesa che non si chiude in se stessa; una Chiesa aperta ed ospitale, una Chiesa in uscita, come ci ha detto nel convegno della Chiesa italiana a Firenze nel 2015: “inquieta, sempre più vicina agli abbandonati … una Chiesa che comprende, accompagna e accarezza”. Se è così che siamo chiamati ad essere, che volto dare alle nostre parrocchie?
Sono ancora attuali, anche se del 2004, le indicazioni che i vescovi italiani ci hanno offerto nel documento Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia al n. 5. “È necessario disegnare con più cura il suo volto missionario, rivedendone l’agire pastorale, per concentrarci sulla scelta fondamentale dell’evangelizzazione. … Ciò significa valutare, valorizzare e sviluppare le potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella pastorale ordinaria. … Occorre avere il coraggio della novità, che lo Spirito chiede oggi alla Chiese”. Pertanto, non dobbiamo aver paura di domandarci – ce lo suggerisce ancora una volta papa Francesco – quando facciamo un’attività, una iniziativa o una proposta, prima di tutto, serve, è utile per l’annuncio del Vangelo? In questo modo potremo superare le due possibili derive che minacciano, oggi, anche le nostre parrocchie:
- la spinta a fare della parrocchia una comunità autoreferenziale e autosufficiente, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando solo rapporti ravvicinati e rassicuranti;
- dall’altra, la percezione della parrocchia come ‘centro di servizi’, per l’amministrazione dei sacramenti che dà per scontata la fede in quanti li richiedono e per tenere in piedi quanto si è sempre fatto, dimenticandoci, invece, dell’invito che ci ha fatto papa Francesco nell’Evangelii Gaudium di “abbandonare il comodo criterio pastorale del ‘si è fatto sempre così” (n.33).
Da qui la necessità di lavorare in rete, in particolare nelle Unità pastorali che sono già costituite ma che fanno ancora molta fatica a partire e ad essere operative. Come ci ricorda il documento sovra citato al numero 11, l’attuale organizzazione parrocchiale, che vede spesso piccole e numerose parrocchie disseminate sul territorio, esige un profondo ripensamento. Tutte le parrocchie, siano esse grandi o piccole, devono acquisire la consapevolezza che è finito il tempo della parrocchia autosufficiente. Le parrocchie si devono mettere in rete, in uno slancio di pastorale d’insieme. Non viene ignorata la comunità locale, ma si invita ad abitare in modo diverso il territorio, tenendo conto dei numerosi mutamenti in atto. Nelle unità pastorali, l’integrazione prende una forma strutturalmente definita, vista l’impossibilità di tante parrocchie ad attuare da sole la loro proposta pastorale.
Carissimi, vi invito tutti, durante la visita pastorale, ad essere attenti alla presenza dello Spirito Santo e a iniziare un serio e fruttuoso cammino di discernimento. È Lui che anima la Chiesa, la guida e attraverso di noi, la spinge ad essere segno vivo nel mondo della presenza del Signore Gesù, vivo e risorto. Buon cammino a tutti.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo