Omelia Festa del Patrono San Marco
Pordenone 25 aprile 2012
Signor Sindaco, gentili autorità civili e militari, fratelli e sorelle nel Signore. La vostra partecipazione alla festa patronale di S. Marco, patrono della nostra città di Pordenone, esprime il riconoscimento che le istituzioni civili riservano alla Chiesa e al suo servizio alla città e al territorio. La città e la chiesa idealmente si incontrano testimoniando – nella distinzione dei ruoli e delle competenze – la medesima passione per la vita concreta della gente e il servizio costante al bene comune. La Chiesa non può che testimoniare il Cristo risorto partecipandolo alla vita quotidiana delle persone e alle vicende della città e del territorio; nello stesso tempo la città sa che può contare su una chiesa che aiuta a vivere i veri valori dell’esperienza umana, permettendo così alla città di essere “città a misura d’uomo”, fermento di fratellanza universale, di solidarietà e di pace.
Celebriamo oggi anche la memoria della liberazione della nostra patria e dei grandi valori che sono alla base della nostra Costituzione. Noi cristiano siamo sempre stati e anche ora ci sentiamo parte viva della società, soprattutto in questo momento di difficoltà che stiamo attraversando, offrendo il messaggio che ci è proprio: l’incontro con Gesù Cristo, capace di trasformare la vita di ogni persona che si incontra con Lui e la storia dell’umanità! Anche san Marco al seguito dell’apostolo Pietro, è stato coinvolto in un laborioso e non facile passaggio dell’annuncio del vangelo da una cultura semitica a quella ellenistico-ronama. Passaggio decisivo per la diffusione del vangelo e anche per la trasformazione delle società incontrate, portandovi quei valori che Gesù aveva predicato e vissuto e che sono anche oggi alla base di ogni convivenza civile: solidarietà, amore reciproco e accoglienza di tutti, in particolare dei più poveri.
La Parola di Dio che ci è stata proclamata ci aiuta a fissare l’attenzione sull’avvenimento centrale della nostra fede e identità cristiana e nello stesso tempo a leggere la storia di oggi, traducendo il vangelo nel linguaggio della vita quotidiana. Il cap. 16 del vangelo di Marco proclama l’evento della risurrezione. Dice l’angelo: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. E’ risorto, non è qui” (v. 6); e nel testo che la liturgia ci ha proposto, risuonano le ultime parole di Gesù ai discepoli: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo a ogni creatura” (v. 15). L’annuncio della Pasqua, per i discepoli, si traduce subito in uno stile di vita nuovo, facendo della propria vita un dono a tutti. In queste pagine è tracciato non solo lo stile di vita del credente, ma anche quello della comunità cristiana. San Pietro, nella prima lettura, ci invita d assumere una vita sobria, a vigilare sul male e a resistere, saldi nella fede, al maligno che anche oggi circuisce l’umanità.
Desidero brevemente, nella celebrazione di quest’anno, evidenziare alcune cause dei mali che affliggono la nostra società, richiamando anche il contributo che la comunità ecclesiale può offrire alla loro individuazione, comprensione e, per quanto possibile, soluzione. Domandiamoci: “Quale male oggi si aggira sull’umanità, e in particolare sul nostro paese? Quale contributo può offrire la chiesa alla sua soluzione?”. Interrogativi che tutti ci poniamo e che sentiamo attuali e urgenti. Credo che siamo tutti consapevoli della profonda crisi che sta attraversando il nostro paese. E siamo tutti disorientati perché non vediamo soluzioni. A giorni alterni sui mezzi di comunicazione rimbalza l’idea ora ‘che siamo diventati come la Grecia’, ora invece ‘che il paese ce la farà’. Siamo però ancora più disorientati perché sappiamo bene che le radici della crisi sono molto più profonde. Il card. Bagnasco ha parlato di crisi della coscienza, tipica dell’età di passaggio. Un grave male si aggira sull’umanità: viviamo una stagione di iperindividualismo che colpisce tanto le persone quanto le comunità. La nostra storia moderna si fonda sulla riscoperta e l’importanza dell’individuo e della soggettività; sappiamo però che questo valore può prendere due direzioni contrapposte: quello della valorizzazione della persona e della sua dignità, con diritti e doveri propri; e quella dell’individualismo, che oggi si coniuga bene con relativismo, antagonismo ed egoismo, giungendo così a un profondo scollamento tra i diritti e doveri del singolo e della comunità.
La gente oggi respira un profondo senso di paura per la difficile crisi, la più grave del dopo-guerra. Da questa crisi non ne usciremo né all’improvviso né troppo in fretta e sarà necessario modificare il nostro modo di pensare. C’è bisogno di un punto chiaro e preciso per tutti e che probabilmente ha il suo inizio nella riscoperta del bene comune, che non è la somma del bene personale di ciascuno. E’ una conversione che noi, a livello personale e sociale dobbiamo fare, ma che anche la politica deve fare! E’ vero, e lo ripeto, come ha fatto il presidente della CEI: tutti dobbiamo pagare le tasse! Ma la tassazione deve assicurare a tutte le famiglie un reddito minimo, una vita dignitosa, una possibilità di soddisfare gli impegni precedentemente presi. E’ necessario un welfare partecipato, l’accessibilità – a famiglie e imprese che siano nell’affanno – di un credito agibile. Il nostro paese è in sofferenza, più di altri della comunità europea. Tutto rincara e il budget familiare diminuisce mese dopo mese. Non è solo con l’aumento delle tasse che si esce dalla crisi. Anzi per la ripresa occorre diminuire il peso fiscale. Se tagli ancora sono da fare, devono essere fatti sui costi eccessivi delle istituzioni e non sui servizi! Si deve salvaguardare di più il territorio, dare slancio alla lotta contro l’evasione fiscale e la corruzione, semplificare la pubblica amministrazione, operare reali e consistenti tagli alle spese della politica e dei politici, senza inganni e latrocini! I partiti, tutti i partiti, sono da rinnovare profondamente, per giungere – com’è loro proprio – ad essere ancora la via ordinaria della politica. Nel perdurare della crisi, è necessario, con coraggio e lungimiranza, che si avvii una rinnovata fase di ripresa degli investimenti in grado di creare lavoro. E’ e rimane la priorità assoluta. E’ necessario che gli istituti bancari non si chiudano in modo indiscriminato alle richieste delle famiglie e dei piccoli e medi imprenditori. Per accedere a un mutuo, è impossibile pretendere della liquidità come garanzia! Come vescovi – diceva ancora il card. Bagnasco nell’ultima prolusione – chiediamo di tenere insieme equità e rigore! C’è bisogno che la nostra gente, penso in particolare ai giovani, trovino ancora l’entusiasmo del vivere. Se siamo giunti fin qui senza gravi sconvolgimenti sociali, lo dobbiamo alla tenuta delle nostre famiglie e al piccolo risparmio senza spreco e al quale ci hanno abituato i nostri nonni! Ho ricordato alcuni aspetti tecnici, non di mia competenza. Per poterli realizzare però occorre una convergenza, papa Benedetto XVI parla di alleanza, di tutte le forze in nome del bene comune che si desidera realizzare. Convergenza che ritengo necessario anche per le due grandi opere: il nuovo ospedale e carcere.
Carissimi tutti, la storia della nostra città, provincia e diocesi di Pordenone è un intreccio di laboriosità, di fiducia nel futuro, di coraggio e di rischio che in questi anni ha saputo offrire ai residenti e ai molti che da terre vicine o da terre lontane sono venuti qui per cercare lavoro, dignità e benessere. Forse qualche volta ci si è dimenticati che siamo stati anche noi migrantes, quando la povertà ha spinto tanti nostri compaesani a lasciare i propri affetti e la propria terra in cerca di lavoro. Per anni abbiamo spalancato – e lo dico con orgoglio – le porte della nostra città, dei nostri paesi, delle fabbriche e delle campagne per accogliere uomini e donne alla ricerca di un po’ di dignità umana, che un onesto lavoro offre! Ora viviamo anche noi in una situazione di difficoltà e di crisi. Non corriamo il pericolo di chiuderci in noi stessi. Non perdiamo il gusto della vita e la gioia di vivere in famiglia e in comunità. Dalla crisi si può uscirne solo se rimaniamo uniti, solo se rafforziamo la nostra identità sociale, umana e cristiana!
E qui scorgo anche il compito specifico della Chiesa in questo particolare momento. Non abbiamo soluzione tecniche da proporre, ma desideriamo essere vicini alla gente, a tutti indistintamente, in particolare a quelli che sono nella fatica, a chi ha perso il lavoro e non ha prospettive, a chi non riesce ad arrivare alla fine del mese, a chi non sa come pagare il mutuo della casa o la retta dei figli. Cerchiamo solo di servire la persona nel nome di Gesù Cristo, sorgente di salvezza e garanzia di umanità. Vogliamo entrare nei luoghi della sofferenza e della fatica quotidiana per metterci accanto alle persone, per fare un po’ di strada insieme, offrendo una parola di solidarietà, di conforto e d’incoraggiamento. Desideriamo pregare insieme perché il Signore sia vicino, non faccia perdere la speranza. A tutti giunga l’amore di Cristo per l’umanità. La fede genera carità e la carità nasce dalla fede.
Carissimi tutti, vi ringrazio per la presenza e vi accompagno con la preghiera.
+ Giuseppe Pellegrini