Omelia Festa del Patrono San Marco – Pordenone 25 aprile 2014

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Omelia Festa del Patrono San Marco 

Pordenone 25 aprile 2014

Nel celebrare la festa del patrono della nostra città, san Marco, ci troviamo tutti insieme, comunità cristiana e comunità civile per riflettere sul dovere che ci compete, come ci ha ricordato la preghiera iniziale, di non aver paura di metterci alla scuola del Vangelo e di seguire Gesù Cristo, di accogliere il suo insegnamento per andare verso gli altri, e testimoniare a tutta l’umanità l’amore del Padre. San Marco, secondo la tradizione, è stato il primo a scrivere il Vangelo, che sappiamo bene non è un libro biografico su Gesù e nemmeno un libro che ci racconta la storia di Gesù, ma è la fede della prima comunità cristiana che, rileggendo la vicenda storica di Gesù ne ha fatto il suo programma di vita, mettendosi giorno per giorno alla sua sequela e scegliendolo come la luce che orienta il cammino. Nel Vangelo, infatti, troviamo la fede viva della comunità che ha scelto di vivere fino in fondo lo stile di Gesù: fare della propria vita un dono per gli altri.
E’ proprio dal Vangelo che anche noi oggi siamo invitati tutti, ognuno secondo le modalità proprie, penso alla comunità cristiana e ai suoi pastori, alla società civile, alle istituzioni e alla politica, a scegliere lo stile di vita di Gesù e farlo diventare anche per noi una scelta che orienti il nostro cammino personale e il servizio che offriamo alle persone. La festa del patrono della città è pertanto una bella occasione per verificare come svolgiamo il compito non facile di ‘governo’ nel territorio. San Pietro nella prima lettura ci ha ricordato che Dio stesso ci confermerà e ci renderà forti e saldi nella fede. I primi discepoli del Signore, e tra questi c’era anche Marco, discepolo fedele di Pietro, si sono sentiti invitati a portare a tutti, in ogni angolo della terra, l’amore di Dio e la carità di Gesù Cristo, sopportando pene e sofferenze, proprio perché ripieni della forza e della potenza del risorto. E’ stata la fede che li ha sostenuti nel ministero a favore di tutti e in particolare dei più poveri.
In questa festa, mi viene spontanea una domanda che faccio a me e anche a tutti voi, in particolare a quanti hanno un ruolo di servizio pubblico nel nostro territorio: “Quanto siamo convinti che la fede sia di aiuto per la costruzione della città dell’uomo?”. Lo faccio convinto che tutti noi abbiamo delle precise responsabilità nell’edificazione della città, nella costruzione del bene comune, fondamento anche oggi di un’autentica vita democratica. Richiamo una citazione della prima enciclica di papa Francesco che come sappiamo è stata fatta a quattro mani, la Lumen Fidei. Al capitolo quarto, intitolato Dio prepara per loro una città, scrive: “ La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili. … La fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto. … La fede è un bene per tutti, è un bene comune, la sua luce non illumina solo l’interno della Chiesa, … aiuta a edificare la nostra società, in modo che cammini verso un futuro di speranza” (n.51). Ecco, carissimi, il di più che la fede può offrire a tutti nella costruzione di una società più giusta e solidale, più vivibile e più umana: è la speranza che non siamo lasciati soli, che c’è un progetto amorevole di Dio per tutti, che Dio non è lontano e discarnato, ma è un Dio vicino, che ci ama e ci vuole bene, che interviene nelle vicende umane della storia non sostituendosi a noi, alle nostre responsabilità e ai nostri doveri, ma mettendosi a fianco di ciascuno, stimolandoci e spronandoci ad accorgerci delle necessità dei nostri fratelli. Dio stimola le nostre capacità e la nostra fantasia; Dio interviene cambiando non le regole della natura ma cambiando e convertendo il nostro cuore, perché possiamo renderci conto delle necessità e dei bisogni degli altri. Dio interviene aiutando anche voi amministratori e politici a mettere in atto un autentico ‘discernimento politico comunitario’ che abbia come finalità non il bene personale, non il bene del proprio gruppo di appartenenza, ma il bene di tutti. Dio, se ci mettiamo in ascolto della sua Parola e della nostra coscienza, offre a tutti la capacità di comprendere la realtà e di prendere delle decisioni di cambiamento, di attuazione di cosa fare, anche andando talvolta controcorrente.
E’ necessario però maturare un’autentica capacità di ascolto. Non è facile oggi ascoltare veramente, perché l’ascolto chiede di uscire dai propri interessi, dagli interessi e dalle precomprensioni del nostro gruppo, e capire veramente i bisogni e le preoccupazioni della gente. La crisi ci sta provocando fortemente e le situazioni di povertà sono sempre più evidenti. Molte famiglie non sanno più cosa fare per mantenere gli impegni presi, causa la crisi lavorativa, quali il mutuo per la casa, per la scuola dei figli… Quanto ascoltiamo e quanto siamo disposti ad agire di conseguenza? Spesso, mi torna alla mente l’immagine che Papa Francesco ha usato per descrivere il suo servizio petrino e il nostro di vescovi e preti: il pastore che sta davanti, talvolta indietro e qualche altra volta in mezzo al gregge, secondo le esigenze e delle necessità. Desidero offrire questa bella immagine anche e voi politi e amministratori del bene comune, invitandovi a non aver paura di camminare con la gente che vi è stata affidata. Lo stemma della nostra città che è nel gonfalone, la porta aperta, è espressiva. Le porte della città sono aperte, sia per chi entra sia per chi esce! A noi, tutti noi, la capacità di oltrepassarle continuamente, senza paura, per stare con tutti, sia per quelli che entrano, alla ricerca di un po’ di benessere e di accoglienza, sia per quelli che escono, perché stanchi, amareggiati o delusi. Stiamo sempre con tutti, ascoltiamoli. E’ il primo passo per discernere le vere esigenze e necessità.
Termino con le parole del salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori. Se il Signore non custodisce la città, invano vegli il custode”. Il salmista non afferma che la nostra opera sia inutile. L’avverbio ‘invano’ ci ricorda che è però necessario l’intreccio tra l’azione umana e l’azione di Dio. Il nostro sforzo umano per l’edificazione della città dell’uomo è necessario e insostituibile; ma deve essere accompagnato dalla benedizione divina, che orienta e guida il nostro impegno per essere sempre e totalmente al servizio del bene comune, porgendo a tutti non solo dei beni materiali, ma la speranza di una vita e un futuro migliore. Buona festa a tutti.

+Giuseppe Pellegrini

vescovo

Pordenone
25/04/2014
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia