Omelia festa patrono san Marco – Pordenone, 25 aprile 2016

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Omelia festa patrono san Marco

Pordenone, 25 aprile 2016

Per una città a misura d’uomo!

Cari fratelli e sorelle, siamo qui riuniti nella celebrazione Eucaristica per onorare il patrono della nostra città di Pordenone, san Marco. Porgo un saluto cordialissimo ai confratelli che concelebrano insieme l’Eucaristia, alla signora Prefetto, al sig. Sindaco della città e presidente della provincia, a tutte le autorità civili e militari presenti.

Celebrare la festa del patrono significa metterci in ascolto della sua testimonianza di vita per scoprire che cosa ha da dire ancora a noi e al tempo di oggi. È anche un’occasione provvidenziale per i nostri giorni così importanti per la città e per la comunità cristiana, per aiutarci ad alzare lo sguardo al cielo e per ricordarci che non siamo noi i padroni e i promotori assoluti della nostra vita, del nostro futuro e del nostro destino, perché questi sono illuminati e trovano il loro pieno significato solo nell’incontro con il Signore Gesù vivo e risorto, l’unico capace di offrirci la salvezza e il senso vero della vita. La testimonianza dell’evangelista Marco, appassionato discepolo di san Pietro, che secondo un’antichissima tradizione ha portato per primo il vangelo nelle nostre terre, ci ricorda che il messaggio evangelico non è estraneo alla persona umana ma, al contrario, è necessario per la costruzione di una umanità più vera, per recuperare quei valori fondamentali e indispensabili ai nostri giorni di decadimento della nostra identità culturale e per superare quel forte individualismo che è la causa di tutti i mali della nostra società.

La Parola di Dio che abbiamo ascoltato ci ricorda le ultime parole del Risorto ai suoi: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato.” (Marco 16,15-16). In tal modo il Risorto insegna che l’annunzio della resurrezione di Gesù, proclamato e accolto in libertà, non può rimanere solo un fatto intellettuale o esclusivamente interiore, ma deve diventare storia concreta e una storia nuova. Per questo Gesù parla di ‘segni’ che accompagneranno coloro che credono. In questo modo siamo invitati a non perdere la speranza perché il Signore Gesù si prende realmente cura della vita dei suoi discepoli. L’amore misericordioso che Dio Padre ha riversato nei nostri cuori con abbondanza attraverso il suo Figlio Gesù, è all’origine della forza e del coraggio che ci spinge a portare a tutti la buona notizia del Vangelo. Certamente, le modalità concrete con cui noi dobbiamo vivere e annunciare il Vangelo non sono più quelle dei tempi di Gesù: il mondo è cambiato. Siamo però tutti coinvolti e responsabili a far sì che il messaggio di Gesù arrivi anche oggi a portare lo stile evangelico e i valori perché la nostra città possa essere sempre di più una città a misura d’uomo, che sa riconoscere in ogni persona un fratello e una sorella da accogliere e da amare.

È proprio su questo aspetto che desidero richiamare la vostra attenzione. Tutti siamo convinti della necessità di mettere al centro del nostro impegno sociale, politico ed ecclesiale l’essere umano. Il recente convegno della Chiesa italiana a Firenze, invitandoci ad uno sguardo amorevole sulla realtà e sugli uomini e donne del nostro tempo, ha evidenziato che, pur volendo tutti noi costruire una città a misura d’uomo, ci ritroviamo in un mondo dove sembra prevalere la logica della potenza, dell’efficienza, dell’impersonalità e dell’egoismo. Il breve ma significativo testo dell’apostolo Giacomo, si rivolge proprio a quei cristiani che stanno perdendo la tensione religiosa e che si stanno appiattendo nella mentalità comune. Sono uomini indaffarati e protesi al guadagno. A questi san Giacomo ricorda: “non sapete quale sarà domani la vostra vita!” (4,14).  Infatti, sostituendosi a Dio, l’uomo crede di avere in mano il suo destino e il suo futuro. Una vita vissuta così non ha senso, perché rischia progressivamente di non lasciare più spazio alle vere necessità del cuore umano.

Sono ancora molte le povertà che caratterizzano il nostro contesto sociale e che incidono   sul vissuto concreto di molte persone e famiglie, lasciando tanti feriti ai bordi della strada. E’ diffuso oggi, anche nel nostro territorio e nella nostra città, un senso di solitudine e di abbandono, perfino dalle istituzioni. La cultura dominante offre ai giovani, che respirano un sentimento di vuoto legato alla mancanza di orizzonti e di mete, ideali non autentici legati ad un successo effimero e a soddisfazioni momentanee. Quanto anonimato nelle relazioni. Incontriamo tante persone in una giornata, ma senza conoscerle in modo un po’ più profondo e senza essere conosciuti? Quanta paura degli altri, di chi viene privo di nulla a cercare un po’ di dignità e di pace. Tutto ciò genera talvolta un disagio profondo che porta anche a dei gesti inconsulti. Così si esprimeva il card. Bagnasco nella relazione conclusiva del convegno: “È così che tanti sono spinti ad accettare come verità assolute e incontestabili che il tempo sia denaro, con la conseguenza che solitamente non ne rimane per stare vicino agli ammalati e agli anziani; che il valore delle persone sia legato alla loro efficienza, con l’effetto di scartare o sopprimere la vita imperfetta o improduttiva; che dipenda essenzialmente dai beni materiali la qualità della vita. Ancora, che ognuno debba cavarsela da solo, tentazione che alimenta l’individualismo e sprona alla diffidenza e alla falsità, facendo mancare il collante della fiducia che tiene unita una società. Tutto questo genera un carico di sofferenza profonda e in genere inespressa, che rivela il bisogno di una luce per orientare il proprio cammino, e di una mano per non compierlo da soli”. Se vogliamo, poi, salvare la coesione sociale e civile tutti siamo chiamati, con serietà ed impegno, ad interessarci, a difendere e a promuovere la famiglia naturale. Se la famiglia va in frantumi, viene meno un insostituibile generatore di bene comune e una preziosa rete di solidarietà. Senza la famiglia, infatti, la persona si trova isolata, più fragile, indebolita e dunque più malleabile, più sottomessa alla strumentalizzazione e più esposta alla dittatura della opinione pubblica.

È necessario, pertanto, una vera ricostruzione dell’umano, che la Chiesa avverte come uno dei suoi compiti primari per il nostro tempo, così come lo ha fatto agli inizi della predicazione del Vangelo. Tale impegno operoso muove da un costante riferimento alla vita e alla persona di Gesù, modello e maestro di umanità.

Concludo con alcune parole di papa Francesco al convegno di Firenze: “Possiamo parlare di umanesimo solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo … Solo se riconosciamo Gesù nella sua verità, saremo in grado di guardare la verità della nostra condizione umana e potremo portare il nostro contributo alla piena umanizzazione della società”.

 

 

                                                           + Giuseppe Pellegrini

                                                                       vescovo

Pordenone
25/04/2016
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia