Omelia Giubileo dei lavoratori – Meduno, 29 aprile 2016

condividi su

Omelia Giubileo dei lavoratori

Meduno, 29 aprile 2016

 

            Desidero richiamare due espressioni del libro del Siracide (38,27-32.34) che abbiamo appena ascoltato: “senza di loro sarebbe impossibile costruire una città” e la conclusione: “il mestiere che fanno è la loro preghiera”, perché ci ricordano da una parte l’importanza e la necessità del lavoro per la vita stessa della società e dall’altra che il punto fondamentale di riferimento per noi credenti è l’incontro e la relazione con il Signore. Solo così potremo, attraverso il lavoro, sentirci partecipi dell’opera creatrice di Dio. Viviamo questo momento di preghiera in prossimità della festa del lavoro, nel vivo dell’Anno Giubilare della misericordia. Desideriamo, come lavoratori (siamo qui tutti insieme operai, dipendenti, imprenditori, dirigenti), invocare dal Signore il dono del lavoro, della giustizia e della verità, perché un minimo garantito sia per tutti e non ci siano sperequazioni sociali, perché tutti hanno bisogno di vivere, di avere quanto sufficiente per poter essere al servizio della propria famiglia e dei fratelli. L’occasione giubilare è un’opportunità per mettere a fuoco il lavoro non soltanto con la finalità economica e del profitto, ma come strettamente legata alla persona, alla sua vita, alla sua libertà e felicità.

Accogliamo con gioia e anche con responsabilità l’invito che papa Francesco ci ha rivolto per riflettere e pregare sulla modalità concreta di essere costruttori della nostra casa comune e della società, coniugando strettamente giustizia e misericordia, in modo particolare nel mondo del lavoro che spesso crea ingiustizie, divisioni e contrapposizioni. Alcune conseguenze sono davanti noi: la disoccupazione giovanile, il triste fenomeno dei disoccupati oltre i 40 anni, la presenza ancora di lavoro nero, la fuga all’estero di cervelli e i molti morti sul lavoro. Nella bolla di indizione del giubileo, Misericordiae vultus, al numero 20, Papa Francesco ci ricorda che la giustizia e la misericordia non sono in contrasto tra di loro ma sono due dimensioni dell’unica realtà: con la giustizia, nel rispetto delle leggi e degli ordinamenti dello stato, ci si abbandona fiduciosi al Signore, non dimenticando però che il modo di agire del credente ha come punto di partenza l’amore misericordioso del Padre che si è storicizzato in Gesù e che continua nell’amore e nella misericordia che noi realizzeremo verso gli altri. E’ fondamentale la capacità di entrare in relazione vera con il Signore e con i fratelli. Gesù, come abbiamo sentito nel Vangelo (Luca 4,16-21), ha interpretato la sua missione come un andare verso tutti, accorgendosi delle necessità delle persone e offrendo loro risposte concrete. La consolazione per Gesù non si riduce a belle parole ma porta alla compassione, ad entrare in sintonia piena con tutti, in modo personale. “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli” (MV 15).

Per uscire dalla crisi che sta investendo la nostra epoca, siamo chiamati a superare la tentazione egocentrica di chiuderci in noi stessi e di pensare solo alle nostre necessità, assumendo la prospettiva del bene comune. Il lavoro è qualcosa di più che ricevere uno stipendio! Il lavoro ci dà la dignità ed è dignità.  L’uomo e la donna che lavorano hanno una dignità, una dignità di persona. La dignità non ce la dà né il potere né il denaro, La dignità ce la dà il lavoro e un lavoro è degno quando non sfrutta la persona e quando ha come orizzonte il bene di tutta la società.

Ogni giorno tanti di voi, per lavorare, devono oltrepassare una porta munita di tornelli o timbratrice che verificano l’ingresso. Per passare la Porta santa è necessario affidarci solamente alla misericordia di Dio e desiderare di accogliere il suo sguardo d’amore. Passare per questa porta significa accogliere la proposta che Gesù fa a ciascuno e ciascuna di camminare insieme con Lui e offrire la nostra disponibilità a lasciare qualcosa che ci è di ostacolo per andare incontro ai fratelli e ai colleghi di lavoro che hanno bisogno di un gesto di fraternità e di vicinanza. Solo se siamo uniti a Cristo e uniti tra di noi, potremo partecipare alla costruzione di una nuova umanità e di una nuova società: la civiltà dell’amore.

                                                           + Giuseppe Pellegrini

                                                                       vescovo

 

 

 

 

 

Meduno
29/04/2016
Meduno, Friuli Venezia Giulia Italia