Omelia Giovedì Santo – Messa del Crisma Pordenone, 17 aprile 2014

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Omelia Giovedì Santo – Messa del Crisma

Pordenone, 17 aprile 2014

Fedeli dispensatori dei misteri di Dio

 

Nel rinnovare le nostre promesse sacerdotali, ci impegneremo, carissimi confratelli, ad essere “fedeli amministratori dei misteri di Dio per mezzo della santa eucaristia e delle altre azioni liturgiche”, guidati non da abilità particolari o interessi umani, ma dall’amore per i nostri fratelli. E’ il cammino che noi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, insieme a tutta la chiesa diocesana e le comunità parrocchiali stiamo sperimentando in quest’anno pastorale, desiderosi di esprimere nella liturgia, fonte della spiritualità e della vita, il dono della fede ricevuta nel battesimo. In particolare per noi sacerdoti, che per grazia e per l’unzione siamo chiamati a presiedere l’Eucaristia e le altre azioni liturgiche, desidero in questa celebrazione della Messa del Crisma, soffermarmi e meditare su quest’aspetto particolare e significativo del nostro ministero; aspetto che ci ha accompagnato durante tutto quest’anno nella formazione e che sinteticamente abbiamo chiamato ars celebrandi. L’ars celebrandi non è data da una serie di norme da rispettare, ma come una condizione per rendere viva, significativa e feconda l’ars orandi. Papa Benedetto, nell’esortazione apostolica Sacramentum caritatis, al n. 38, ci ricordava che “nei lavori sinodali è stata più volte raccomandata la necessità di superare ogni possibile separazione tra l’ars celebrandi, cioè l’arte di celebrare rettamente, e la partecipazione piena, attiva e fruttuosa di tutti i fedeli. In effetti, il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosa participatio. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr 1 Pt 2,4-5.9)”.
Siamo ben consapevoli che il nostro ministero ha inizio, come lo è stato per Gesù, dalla piena consapevolezza che “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, … e proclamare l’anno di grazia del Signore” (Luca 4,18-19). Gesù applica a sé la missione del Messia che era stata delineata profeticamente dal profeta Isaia, dove l’unzione con la potenza dello Spirito aveva come scopo di mandare l’unto di Dio a proclamare la misericordia di Dio e a instaurare il suo regno di giustizia, di amore e di pace. Anche noi, carissimi presbiteri, siamo stati unti per la santificazione e la salvezza del popolo. Il sacerdozio ministeriale che abbiamo ricevuto, con tutte le funzioni che ne derivano, è costitutivamente al servizio del sacerdozio battesimale dei fedeli. Ce l’ha ricordato molto bene papa Francesco all’inizio del suo ministero petrino, nella Messa Crismale dell’anno scorso, con una omelia meravigliosa. Cito solo qualche passaggio, ma vi invito a meditarla profondamente.
“L’immagine dell’olio che si sparge, che scende dalla barba di Aronne fino all’orlo delle sue vesti sacre, è immagine dell’unzione sacerdotale che per mezzo dell’Unto giunge fino ai confini dell’universo rappresentato nelle vesti. … L’olio prezioso che unge il capo di Aronne non si limita a profumare la sua persona, ma si sparge e raggiunge “le periferie”. Il Signore lo dirà chiaramente: la sua unzione è per i poveri, per i prigionieri, per i malati e per quelli che sono tristi e soli. L’unzione, cari fratelli, non è per profumare noi stessi e tanto meno perché la conserviamo in un’ampolla, perché l’olio diventerebbe rancido … e il cuore amaro. Il buon sacerdote si riconosce da come viene unto il suo popolo; questa è una prova chiara”. Anche il prefazio proprio di questa celebrazione, nell’invitarci a rendere grazie, come popolo santo di Dio tutto sacerdotale, ci richiama con efficacia il nostro servizio e ruolo di chi, al suo interno, è posto a presiedere:

“ Tu vuoi che nel suo nome˜rinnovino il sacrificio redentore,˜ preparino ai tuoi figli la mensa pasquale,˜
e, servi premurosi del tuo popolo,˜
lo nutrano con la tua parola˜
e lo santifichino con i sacramenti”.

Carissimi confratelli, abbiamo qui tratteggiato un intenso e fruttuoso cammino spirituale, per poter esser sempre di più, in mezzo al nostro popolo, “pastori secondo il suo cuore”. Permettete ora che mi soffermi su alcune condizioni che ci aiutano a esercitare bene il ‘servizio della presidenza’ e, come dice l’Ordinamento generale del Messale Romano, condurci “ad una attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia” (n.22).
– La prima condizione è la consapevolezza che presiedere significhi servire, come ha fatto Gesù. Ci domandiamo: Com’è chiamato a servire colui che presiede in nome di Cristo?. Nella celebrazione dell’Eucaristia, dopo la consacrazione il sacerdote proclama: “Mistero della fede!”. Tale espressione, oltre che significare la presenza di Cristo nel pane e nel vino, indica, come è chiaramente espresso nell’anamnesi, la morte, la resurrezione e la parusia di Cristo, cioè il Mistero Pasquale che siamo invitati ad assumere in noi. Questo è il mistero che la Chiesa celebra in ogni Eucaristia. Come ci ricorda San Paolo: “Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa” (Efesini 5,32). Ed è proprio a questo mistero che fa riferimento il nostro servizio di presidenza dell’Eucaristia e delle altre celebrazioni. Mistero di presidenza che, come ogni altra realtà della nostra vita sacerdotale scaturisce dall’epiclesi di ordinazione. “Dona, Padre onnipotente, a questi tuoi figli la dignità del presbiterato. Rinnova in loro l’effusione del tuo spirito di santità; adempiano fedelmente, o Signore, il ministero del secondo grado sacerdotale da te ricevuto e con il loro esempio guidino tutti a un’integra condotta di vita”. Non svolgiamo il servizio della presidenza per necessità di una comunità o per una motivazione di santificazione personale, ma per un dono di Dio che ci conforma a Cristo, servo, maestro, pastore e sacerdote, in vista di un ministero. Ci ricorda la Presbiterorum Ordinis al n. 5 che “i presbiteri sono consacrati da Dio, mediante il vescovo, in modo che, resi partecipi in maniera speciale del sacerdozio di Cristo, nelle sacre celebrazioni agiscano come ministri di colui che ininterrottamente esercita la sua funzione sacerdotale in favore nostro nella liturgia per mezzo dello Spirito”. Pertanto la funzione sacerdotale di presidenza, ordinata all’edificazione della Chiesa, esprime chiaramente la nostra vera identità: di presiedere in persona Christi. Possiamo ben affermare che l’io del presbitero che celebra l’eucaristia o un sacramento, viene così compreso ministerialmente come l’io di Cristo stesso. L’espressione “in nome di Cristo” richiede di essere dunque compresa in senso forte: la funzione del presbitero in virtù della sua ordinazione, è di manifestare, di attualizzare il fatto che è Cristo a presiedere l’assemblea, a parlare al suo popolo. La comunità è convocata non dal presbitero, ma da Cristo stesso che chiama e convoca.
– Una seconda condizione da tener sempre presente è che noi presbiteri, prima di essere presidenti siamo parte viva della Chiesa, siamo dei battezzati in cammino verso il Regno. Al pari di ogni “buon cristiano” dobbiamo anche noi pregare quotidianamente, accogliere la Parola e incarnarla nella vita di ogni giorno, supplicare Dio e chiedere il suo perdono, esultare con il canto dell’Alleluia e unirci nella lode perenne con il Sanctus! Per questo il ministero della presidenza non può mai essere disgiunto dal cammino personale di santità e di santificazione, mirando in tutto quello che facciamo non ai nostri interessi ma al servizio di Cristo e della Chiesa. Fin dalla consacrazione del battesimo, anche noi abbiamo ricevuto il segno e il dono di una vocazione e di una grazi così grande che, pur nell’umana debolezza possiamo tendere alla perfezione secondo quanto ha detto il Signore: “Voi, dunque, siate perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste” (Matteo 5,48). Sentiamo rivolto anche a ciascuno di noi l’invito di Paolo: “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale” (Romani, 12,1). C’è una bella espressione che sintetizza bene la spiritualità di noi presbiteri: la carità pastorale, quale partecipazione alla stessa carità del Cristo. Oltre che essere un appello e un compito, è prima di tutto un dono che il Signore ci ha fatto, di donare tutto noi stessi per il bene degli altri, di consumarci fino alla fine della nostra vita per la salvezza dell’umanità. Pertanto non deve mai venir meno in noi lo spirito del servizio e la sollecitudine verso tutti, in particolare verso i più deboli e poveri.
– Una terza sottolineatura, che è una disposizione del cuore, la prendo dalla 1 lettera di Pietro: “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (5,2-3). Mi soffermo sul ‘volentieri’. Vuol dire fare qualcosa che nasce da ciò che ci sentiamo dentro, compiere una cosa senza farla pesare, senza assumere un atteggiamento di vittima o di ‘martire’. Contiene anche il valore del ‘volontariamente’, cioè di assumere con un atto di libera volontà il senso del ministero come Dio lo ha voluto e ce lo ha donato. Significa agire con il cuore, per amore e con gioia. Che forza allora c’è in questa semplice parola! La presidenza delle nostre celebrazioni dovrebbe essere sempre così, sapendo che il nostro presiedere non è una nostra scelta, ma è prima di tutto un essere mandati dal Signore Gesù! Si tratta di intendere il nostro sacerdozio ministeriale in diretta correlazione con Cristo, da diventare per tutti i credenti punto di riferimento con un atteggiamento di obbedienza. Il ministro ordinato presiede in quanto offre un esempio autentico di obbedienza a Cristo e di partecipazione all’obbedienza di Cristo al Padre. E’ triste vedere talvolta che esercitiamo il nostro servizio ministeriale, anche quello della presidenza, per forza, perché bisogna.

– Un ultimo aspetto mi preme richiamare. Il nostro ministero del presiedere si situa all’interno di una realtà fatta di persone concrete, dentro la storia viva di uomini e donne di oggi. Talvolta le nostre liturgie, anche con la responsabilità di chi le presiede, rischiano di essere lontane o di sfiorare appena la storia dell’umanità. Quanto siamo capaci di far risuonare veramente nelle nostre liturgie le meravigliose parole dell’introduzione della Gaudium et Spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Ciò suppone che chi celebra faccia la fatica di conoscere la sua gente e di assumere in sé i problemi in una visione di fede e di speranza, cioè interpretandoli alla luce del vangelo. Stare tra la gente! Ecco uno dei compiti fondamentali del presbitero di oggi. Nell’ascolto, nella vicinanza nei momenti di dolore e di prove della vita, nell’accompagnamento e nel delicato e tanto prezioso ministero della Riconciliazione, con uno stile e un linguaggio che sia accessibile a tutti e vicino alla vita. Diciamo con San Paolo: “Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime” (2 Corinzi 12,15). Un presidente della liturgia sensibile alla storia e alla vita concreta della gente ha molte possibilità di celebrare liturgie ‘incarnate’: dai riti d’introduzione a qualche altra ‘monizione’ che favorisca il collegamento tra il memoriale della passione e risurrezione del Signore col memoriale della passione e delle speranze dell’umanità di oggi. Perché questo collegamento sia possibile, sentiamo tutti la necessità di un gruppo di persone , può esser il gruppo liturgico, che insieme con noi prepari, curi ed animi le celebrazioni festive e quelle più significative delle nostre comunità.

Carissimi confratelli, a questo punto risulta per tutti un po’ più facile ripensare alla nostra modalità concreta di esercitare il ministero della presidenza nelle varie azioni liturgiche, che è strettamente connessa anche al nostro modo di essere nella comunità che ci è stata affidata. Abbiamo visto come al centro dell’azione celebrativa sta l’incontro vivo sia nostro che dell’assemblea con il mistero della salvezza che si compie pienamente nella Pasqua. Ci viene in aiuto anche il significato etimologico dell’espressione ‘arte del celebrare’. La radice ar è la stessa di armonia, ritmo, rito che significa procedere verso un fine in modo ordinato. C’è pertanto una profonda unità tra arte e rito, che “ci garantisce dal rischio di ridurre l’arte del celebrare sia un fantasioso estetismo creativo, arbitrario perché soggettivo, sia a una formale osservanza di norme che regolano il culto” (Rivista liturgica 98/2 (2011), pag. 319). Il servizio di presidenza della celebrazione, per un dono dello Spirito, è la modalità tipica della partecipazione liturgica per noi presbiteri. E’ necessario, giorno dopo giorno vivere questo prezioso servizio come il dono più prezioso che noi offriamo alla nostra gente, favorendo l’incontro personale di ciascuno con il Signore Gesù, vivo e presente nelle celebrazioni. Diventa però importante, direi decisiva proprio per noi presbiteri e diaconi, la questione della formazione alla prassi del celebrare. So che tocco un tasto non semplice e per certi versi a tanti non gradito. E’ necessario però un progressivo, ma reale, appropriarci sempre di più dell’ars celebrandi, perché il presiedere possa essere strumento docile ed efficace della presenza e dell’azione dello Spirito santo nella celebrazione dei santi misteri. Questo è da farsi negli incontri di formazione permanente per il clero, nei ritiri mensili e negli esercizi spirituali annuali.
Sono presenti spiritualmente con noi oggi i confratelli anziani e malati. Siamo in comunione con i confratelli che in varie parti del mondo stanno testimoniando il vangelo, a nome della nostra Chiesa locale. Celebrano con noi la liturgia celeste quelli che in quest’anno ci hanno lasciato. Facciamo festa con quanti ricordano il 60mo e 50mo anniversario della loro ordinazione presbiterale.
Il prefazio fra poco ci ricorderà che siamo stati consacrati per la santificazione del popolo. Carissimi, siamo stati unti perché insieme con Cristo e a suo nome ci dedichiamo a farlo diventare un popolo santo consacrato al Signore, cioè un popolo sacerdotale che offre se stesso a Dio. Queste parole accompagnino la nostra Pasqua e sostengano ogni giorno il nostro ministero di presidenza di quell’amore e quella disponibilità che portarono il Buon Pastore a dare la vita per tutta l’umanità.

Sia lodato Gesù Cristo!

+Giuseppe Pellegrini

vescovo

Pordenone
17/04/2014
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia