Omelia S. Messa per la pace e per i caduti di tutte le guerre, in occasione dei 100 anni dall’inizio della prima guerra mondiale Palazzetto dello Sport – Pordenone 23 maggio 2015

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Omelia S. Messa per la pace e per i caduti di tutte le guerre,

in occasione dei 100 anni dall’inizio della prima guerra mondiale

 

 Palazzetto dello Sport – Pordenone 23 maggio 2015

 

Ringrazio di cuore tutti voi intervenuti a questo significativo momento di preghiera e di riflessione. Ringrazio i rappresentanti delle istituzioni civili e militari, i rappresentanti dei vari gruppi e associazioni e tutta la comunità diocesana: fedeli laici, religiosi/e, sacerdoti e diaconi insieme con il vescovo Ovidio.

Il centenario dello scoppio, almeno per questa nostra zona, della prima guerra mondiale, con la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, il 24 maggio 2015, ci trova riuniti, non tanto per una solenne commemorazione o celebrazione, quanto per fare memoria di una esperienza di lutto e di dolore, perché, come ci ha ricordato papa Francesco, “tutto si perde con la guerra e nulla si perde con la pace”.  Non tocca a noi esaminare le motivazioni della guerra e nemmeno addentrarci nella valutazione di determinate posizioni, anche dentro la Chiesa, espresse dai teoremi, peraltro molto in voga, della ‘guerra giusta’ e del ‘bene della comunità internazionale’. Anche se, secondo lo spirito dell’epoca, era importante dar prova di obbedienza all’autorità costituita restando al proprio posto senza intralciarne le decisioni e l’operato, il sentimento popolare vedeva la guerra come il sommo dei mali. Di fatto la guerra, alla prova degli eventi, mostrò una brutalità senza precedenti, e non solo per gli oltre 10 milioni di morti; il conflitto destrutturò la coscienza umana, rendendola sempre più incapace di discernere il bene dal male.  Prova ne è il nostro Celso Costantini che si fece carico di affrontare il dramma dei cosiddetti ‘figli della guerra’, ossia di quei bambini nati durante il conflitto mentre il padre era combattente, ignaro che la moglie potesse averlo tradito o, in altri casi, nati da donne violentate dal nemico.  Ma come poteva trovare ascolto la ‘profezia’ di papa Benedetto XV, espressa nella Nota ai capi dei popoli belligeranti del 1 agosto 1917? Il papa non si schierò con nessuno degli Stati in guerra ma, cercando di interpretare il desiderio della gente, preferì mettersi al servizio di una ‘pace giusta e duratura’, definendo la guerra una ‘inutile strage’ perché il mondo, diventato un campo di morte, rischiava il suicidio dell’umanità.

Ci lasciamo guidare, in questo momento, dal racconto biblico che ci è appena stato proclamato: la torre di Babele. Dio interviene nella storia e nei progetti dell’umanità, costringendola a considerare non solo le proprie forze o le forze degli schiavi (è chiaro il riferimento alla storia di Mosè e alla schiavitù in Egitto del suo popolo). Il progetto di Dio è invece un progetto di libertà che nasce e si costruisce nel confronto e nel dialogo con gli altri e con le idee degli altri, anche se diverse. Il Signore vanificò il progetto degli abitanti della regione di Sinar che dicevano: “Costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci per tutta la terra” (Genesi, 11,4), disperdendo gli uomini e costringendoli, con la confusione delle lingue, a cercare l’unità attraverso un faticoso cammino fatto di incontri e di alleanze e non di uniformità, scontri e guerre. “La cupidigia – diceva papa Francesco a Redipuglia – l’intolleranza, l’ambizione al potere … sono motivi che spingono avanti la decisione bellica”.  Babele è soltanto il primo esemplare di tutte le grandi torri costruite lungo i secoli e destinate alla rovina perché fondate non sull’armonia e la solidarietà tra i popoli ma sulla prevaricazione, sulla forza e sulla violenza, con alla base i principi dell’individualismo e del potere che asservisce l’umanità mettendo uno contro l’altro. E’ l’apocalittica “Babilonia la grande” (Apocalisse 17-18), la città dell’autosufficienza, chiusa in un orizzonte puramente terreno, senza Dio, che non esita a uccidere e sacrificare vite umane.

Ma Dio non si stanca di noi e non ci lascia soli! Il progetto di Dio per l’umanità è un progetto di amore e di pace. Donandoci e accogliendo il suo Spirito – ha ricordato Paolo ai Galati – saremo in grado anche noi di portare al mondo i suoi frutti: “amore, gioia, pace, benevolenza, mitezza” (cfr. 5,22).  La pace terrena che nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. “La pace – dice la Gaudium et spes – non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi a rendere stabile l’’equilibrio contrastante… ma essa viene con tutta esattezza definita opera della giustizia” (78). Il quieto vivere non è pace; chi fa finta di nulla e chiude un occhio per non aver fastidi, non è un costruttore di pace. La pace chiede coraggio, rispetto degli altri, delle loro idee e della loro dignità, difesa della giustizia e dei diritti dei più deboli e poveri. La pace è un dono impegnativo che non ci può lasciare indifferenti.

La pace, carissimi tutti, non è un impegno solo per i grandi della terra, che hanno la responsabilità di dichiarare la guerra o di evitarla. Ciascuno di noi, nella vita di ogni giorno, è chiamato a vivere le relazioni con gli altri, improntandole a sentimenti di giustizia, di verità e di carità. La pace parte da ciascuno di noi, dal modo di rapportaci in famiglia, con i colleghi di lavoro, a scuola. Anzi, prima ancora, la pace nasce dal profondo del nostro cuore. Tutti portiamo nel nostro intimo qualche ferita; quanto è importante riconciliarsi con noi stessi e con il nostro vissuto. Apriamo ogni giorno il cuore alla grazia e all’amore di Dio! Potremo così vedere noi stessi, gli altri e l’umanità intera con lo sguardo e con gli occhi buoni di Dio.

Chiediamo pace, nella preghiera di questo pomeriggio, per tutte le persone offese dalla guerra e da ogni guerra, uomini e donne, giovani, bambini e anziani. Persone che hanno vissuto e vivono la tragedia della guerra e anche per tutti quelli che sono morti a causa della guerra. E’ impossibile ricordarli e nominarli tutti. Morti combattendo su fronti opposti; morti non per paura, ma per una dignità e fratellanza ritrovate; morti nella testimonianza della loro fede e fedeltà; morti … senza sapere il perché. Affidiamoli alla benevolenza del Padre celeste.

Concludo con le stesse parole di papa Francesco a Redipuglia: “Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto”.

 

 

                                                                       + Giuseppe Pellegrini

                                                                                  vescovo

Pordenone
23/05/2015
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia