Omelia Veglia di preghiera XXX Giornata Mondiale della Gioventù
Maniago, 28 marzo 2015
“Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Matteo 5,8)
Carissimi giovani, questa sera siete qui, perché? Perché non sapete come passare un sabato sera, perché qualche amico o amica vi ha invitato, perché è tradizione per giovani come voi, legati alla parrocchia o a gruppi, vivere la GMG in diocesi, sentendovi anche un po’ obbligati, oppure siete qui per rispondere a un invito, a una chiamata del Signore? Aiutati dalla preghiera, dalla Parola di Dio e dal messaggio di papa Francesco, desidero offrirvi una chiave interpretativa per aiutarvi a rispondere alla domanda iniziale e a superare, come ci dice Gesù nel vangelo appena proclamato, l’ipocrisia che alberga dentro ciascuno di noi. “Questo popolo – dice Gesù – mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” (Matteo 15,8-9). L’ipocrisia ci porta a compiere solo gesti esteriori, che non hanno niente a che fare con la profondità e la vera identità di noi stessi. Papa Francesco, nel messaggio per la XXX GMG, ci suggerisce due parole chiavi: cuore puro e vedere Dio.
Stiamo percorrendo il cammino verso Cracovia 2016, l’incontro mondiale dei giovani con il papa, aiutati dal testo delle Beatitudini. La prima parola che Gesù pronuncia nel grande discorso della montagna, sottolinea la sua preoccupazione per noi: desidera che siamo felici, che il nostro cuore sia ricolmo di gioia e di felicità. Scrive papa Francesco: “La ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. Non avvertite che i vostri cuori sono inqueti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete di infinito?”(Messaggio n. 1). Una ricerca di felicità che trova la sua realizzazione e pienezza nell’incontro con Dio, nel contemplare il suo volto. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Matteo 5,8). Anche se spesso non se lo ricorda, ogni uomo e donna, ogni giovane è assetato di Dio, tutti siamo alla ricerca e desideriamo vedere Dio. Scrive il salmista: “Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto (27,8-9). O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne (63,2)”. Sant’Agostino che aveva scandagliato attentamente il proprio cuore, pregava così il Signore: “Ci hai creati per te e inquieto è il nostro cuore, finché non riposa in Te” (Confessioni I,1). E’ proprio la visione del volto di Dio che rende felice il cuore umano. La testimonianza di tante persone, del passato e di oggi, lo conferma chiaramente. Madre Teresa diceva: “Tutti sospirano di essere felici con Dio. Essere felici con Dio in questo istante significa amare come lui ama, servire come lui serve”. Il cuore, come ci ricorda il papa, è la sede dei sentimenti e delle intenzioni ma è anche il fulcro della propria e irrepetibile identità, è il centro della persona. Esso designa la profondità più intima di ogni essere umano, il ‘luogo’ dove si prendono le decisioni più personali e importanti della vita, dove ognuno ritrova se stesso, dove ci si può incontrare veramente con Dio e contemplare il suo volto. Il cuore buono rende buono tutto l’uomo, il cuore cattivo lo rende cattivo. Il cuore è puro quando in esso splende la luce della verità e della bellezza, la luce dell’amore e della carità; quando, in definitiva, in esso vi abita Dio. Infatti, il cuore è puro quando si lascia raggiungere dalla Parola di Dio: “Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato” (Giovanni 15,3).
Gesù conosce profondamente il cuore dell’uomo e sa che ci sono dei cuori pieni di impurità. Anzi, dentro il nostro cuore possono convivere due differenti parti di noi stessi. Significativo quanto ha scritto Anna Frank, alla fine del suo diario: “Cara Kitty, ti ho già più volte spiegato che la mia anima è, per così dire, divisa in due. Una delle due metà accoglie la mia esuberante allegria, la mia gioia di vivere, la mia tendenza a scherzare su tutto e a prendere tutto alla leggera. Con ciò intendo pure il non scandalizzarsi per un flirt, un bacio, un abbraccio, uno scherzo poco pulito. Questa metà è quasi sempre in agguato e scaccia l’altra, che è più bella, più pura e più profonda. La parte migliore di Anna non è conosciuta da nessuno, vero? E perciò sono così pochi quelli che mi possono sopportare. … La mia parte leggera e superficiale si libererà sempre troppo presto dalla parte più profonda, e quindi prevarrà sempre. Non ti puoi immaginare quanto spesso ho cercato di spingere via quest’Anna, che è soltanto la metà dell’Anna completa, di prenderla a pugni, di nasconderla; non ci riesco, e so anche perché non ci riesco. Ho molta paura che tutti coloro che mi conoscono come sono sempre, debbano scoprire che ho anche un altro lato, un lato più bello e migliore. Ho paura che mi beffino, che mi trovino ridicola e sentimentale, che non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma soltanto l’Anna “leggera” v’è abituata e lo può sopportare, l’Anna “più grave” è troppo debole e non ci resisterebbe”. Nella discussione sul puro e l’impuro Gesù dice che non sono le cose esterne e materiali che rendono impuri. Così pensavano i farisei, che avevano una concezione materialistica della purezza. Essi identificavano il puro con il pulito, perciò si lavavano e facevano tante abluzioni rituali; inoltre ritenevano impuri anche alcuni cibi, evitando di mangiarli. Gesù invece dichiara che la purezza è un fatto interiore e spirituale. Ciò che corrompe e rende impuri, non sono le cose materiali, ma il peccato; non è ciò che viene a contatto con l’uomo dal di fuori, ma ciò che dall’interno determina i comportamenti personali di ciascuno: “Ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie. Queste sono le cose che rendono impuro l’uomo” (Matteo 15,18-20). Il cuore è come una sorgente da cui deriva tutto. Se la sorgente è buona, tutto sarà buono; se la sorgente è inquinata, tutto sarà corrotto. Molti aspetti dell’amore umano e spirituale sono stati analizzati con grande profondità dal Papa Benedetto XVI nella sua prima enciclica Deus caritas est, del 25 dicembre 2005. Dopo aver spiegato il significato dei due termini greci per indicare l’amore, eros e agape, egli incoraggia tutti a progredire sulla via dell’amore di Dio e del prossimo: “L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati a immagine di Dio. Vivere l’amore, e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare con la presente enciclica» (n. 39). Amare in modo vero e puro è possibile, basta cominciare.
Da qui nasce l’invito di papa Francesco che vi chiede, carissimi giovani, di imparare a discernere ciò inquina il vostro cuore, a non aver paura di cercare il vostro tesoro, perché proprio su questo tesoro riposa il vostro cuore (cfr. Messaggio n. 2). Mi domando e vi domando: “Ha ancora senso parlare oggi di purezza e di castità? E possibile oggi ritornare ad annunciare con determinazione, senza suscitare diffidenze e paure, la beatitudine della purezza e della castità?”. Sembrano discorsi di altri tempi, legati alla morale sessuale, antiquata e sorpassata, della chiesa. Oggi, noi figli della rivoluzione sessuale, vogliamo essere liberi da vincoli atavici e da tabù superati. Ma siamo liberi veramente o depressi esistenzialmente, sempre alla ricerca di un edonismo sfrenato che ha separato in maniera definitiva la sessualità dall’amore? Siamo qui stasera alla scuola di Gesù, non per ritornare ad un passato definitivamente superato ma per imparare da Gesù che la purezza e la castità sono ‘affari di cuore’, che l’amore umano è bello e vero quando viene donato senza secondi fini, che l’amore non è conquista e possesso, ma è dono, gratuità, gioia e libertà. C’è un passaggio da compiere: dal dire tu sei mio/a, al dire io sono tuo/tua. La purezza è tutta questione d’amore e riguarda soprattutto il campo delle relazioni. Spesso si strumentalizza l’altro/a per i nostri fini egoistici, per sentirci bene. La sessualità, nel suo codice più intimo e immediato, dice anzitutto dialogo, apertura verso l’altro e dunque differenza e complementarietà. Il catechismo della Chiesa ci ricorda che la sessualità è veramente umana quando si integra nella relazione da persona a persona, nel dono totale di sé; quando è capace di uscire dalla solitudine ed entrare in relazione con l’altro. La castità diventa così non una serie di divieti e di norme di comportamento, ma un potenziale di vera felicità che è dentro ciascuno di noi, una scuola per imparare ad amare donandosi. Per donarsi, infatti, è necessario prima conoscersi e poi creare dentro di noi una profonda unità tra corpo e spirito. Spesso capita che si ritenga la sessualità come la fonte del piacere, riducendo l’altro/a da persona a oggetto della propria gratificazione e soddisfazione. Il disordine nella vita sessuale tende inevitabilmente a distruggere la capacità di amare della persona, mettendo il piacere, e non il dono di sé, come fine della sessualità. La castità, invece, è un dono di Dio, un frutto dello spirito (cfr. Galati 5,22) in forza del quale la volontà diventa capace non tanto di reprimere i desideri sessuali, quanto di integrare l’impulso sessuale nell’armonia della personalità che trova nel dono di sé e nell’affettività, il significato più vero della vita.
E’ un cammino non sempre facile, perché siamo tutti figli e figlie del nostro tempo, portati a pensare, in nome della libertà della persona, che la felicità consista nel soddisfare qualsiasi desiderio e impulso che sentiamo dentro di noi. Ho riletto e meditato più volte, in questi giorni, il primo incontro di Maria Maddalena con Gesù risorto, narrato dall’evangelista Giovanni al cap. 20, 11-18. Non faccio l’esegesi del testo, ma una riflessione a partire da ‘beati i puri di cuore’, perché mi sembra un percorso di maturazione che Gesù fa fare alla Maddalena, un cammino di trasfigurazione dell’amore, da un amore puramente umano e possessivo, a un amore altruistico, vero, quasi divino. Nel v. 13 la Maddalena risponde agli angeli: “Hanno portato via il mio Signore”. Faccio notare l’aggettivo possessivo ‘mio’, tutto per me, che si nutre solo di sentimenti e di ricordi. Questo capita quando vogliamo l’altro tutto per noi, rischiando di soffocarlo, di non lasciarlo libero. La risposta di Gesù, al v. 17, va nella direzione opposta: “Non mi trattenere… ma va dai miei fratelli”. E’ un amore libero e gratuito, che si fa dono per gli altri, che non cattura le persone, che non le lega strettamente a sé, ma le invia a servire gli altri, che le manda a tutti. Ecco la proposta che Gesù stasera fa anche a ciascuno di voi: ‘Va dai miei fratelli’. E’ il modo più bello per imparare ad amare, per vivere fino in fondo la beatitudine dell’amore e per riuscire a incontrare e vedere il volto di Dio. Solo così, ci ricorda papa Francesco, potrete scoprire “il progetto d’amore che Lui ha per la vostra vita… interrogatevi con animo puro e non abbiate paura di quello che Dio vi chiede… Non dimenticate, la volontà di Dio è la nostra felicità” (Messaggio, n.3).
+ Giuseppe Pellegrini
vescovo