Ritiro del Clero – Diocesi di Brescia

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“Qual è il servizio di un presbitero diocesano in una comunità chiamata ad essere evangelizzatrice”

Carissimi,

un saluto fraterno a voi presbiteri e diaconi e in particolare al confratello e vostro vescovo Pierantonio che riavete accolto dopo lunga malattia. Vi trovate nelle congreghe per vivere la giornata della Fraternità sacerdotale. Anzitutto grazie di cuore per l’invito che il centro missionario mi ha rivolto, sebbene a distanza. Sono don Giuseppe Pellegrini, vescovo della diocesi di Concordia-Pordenone, dove da dodici anni svolgo il ministero episcopale. Sono arrivato senza conoscere nessuno e senza aver mai frequentato prima questa diocesi…un po’ come succede ai missionari che arrivano in luoghi nuovi e sconosciuti all’inizio ma poi diventano significativi e importanti sia per loro che per la comunità che li accoglie. Sono originario delle diocesi di Verona e ho vissuto il ministero presbiterale per alcuni anni come educatore e docente in seminario maggiore e nella pastorale giovanile. Ho trascorso 9 anni a servizio della CEI, in particolare nell’Ufficio della pastorale giovanile per la GMG 2000 e nell’Ufficio della cooperazione missionaria tra le Chiese.

Nel pensare a quale possa essere oggi il servizio di un presbitero diocesano all’interno di una comunità parrocchiale chiamata ad essere evangelizzatrice, vi propongo una breve riflessione recuperando alcune delle belle esperienze vissute durante i viaggi missionari che ho avuto modo di fare nel corso del mio servizio in CEI e la significativa icona della chiamata dei primi discepoli, secondo il Vangelo di Giovanni: “Maestro dove dimori? Disse loro ‘Venite e vedrete’. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui” (1,38-39)

Il primo servizio di un sacerdote diocesano, dal mio punto di vista, è quello di “stare” e non di “fare”. Parlando di servizio e immaginando le giornate che ciascuno di noi trascorre in parrocchia, è naturale pensare subito alle tante cose da fare, di cui c’è bisogno e che spesso cadono sulle nostre spalle, impegnandoci giornate intere. Non voglio dire che non sia importante fare, anzi, c’è bisogno di concretezza e quella ce la dà solo il duro lavoro, ma il primo verbo che la missione ci insegna e che vale anche nei nostri contesti qui, è quello dello stare. Stare accanto agli altri, senza necessariamente fare qualcosa per loro, ma semplicemente farsi prossimi di coloro che hanno bisogno di qualcuno che stia con loro, che li ascolti, che si prenda cura dei loro bisogni.

Anni fa un missionario in Africa mi disse che la missione per lui era un “sedersi dove si siede la gente e aspettare che Dio avvenga” ovvero mettersi accanto agli altri, senza l’ansia di dover fare chissà quali discorsi…semplicemente rimanendovi accanto.

Tutti noi ricordiamo ancora i giorni terribili della pandemia: le nostre regioni Lombardia e Friuli Venezia Giulia, sono quelle che hanno sofferto di più sin dall’inizio. Vi ricordate cosa pativamo più di ogni altra cosa? L’essere rinchiusi in casa, senza la libertà di potersi muovere e fare le cose di ogni giorno. In società come le nostre, dove il fare è importantissimo, il fare da senso alle nostre giornate, quella privazione ci faceva soffrire. Poi però oltre a questo si è aggiunta l’impossibilità di poter stare accanto ai nostri amici, parenti, ammalati…la gente moriva da sola negli ospedali senza che nessuno potesse intervenire per almeno un ultimo saluto. Abbiamo capito che stare accanto agli altri era la cosa che ci mancava di più…

Le nostre comunità oggi hanno bisogno di preti e diaconi presenti, capaci di stare oltre che di fare. Credetemi non saremo ricordati per le cose che riusciremo a fare ma per la nostra capacità di stare in relazione con la gente. I missionari che ad esempio restano 30, 40 o persino 50 anni in missione non vengono ricordati solo perché hanno costruito scuole, ospedali o pozzi d’acqua, ma per la loro capacità di stare tra la gente, di mettersi in ascolto, di essere disponibili. È il famoso “odore delle pecore” che Papa Francesco chiede a noi pastori di piccoli e grandi greggi.

Il secondo atteggiamento che reputo importante è la passione per l’annuncio del Vangelo che può sembrare un’attitudine ovvia per un consacrato, ma purtroppo non sempre lo è. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium la chiama la “dolce e confortante gioia di evangelizzare” che ogni cristiano porta con sé in ogni azione quotidiana, in ogni servizio che svolge. Non bisogna cadere nella trappola che ci fa credere che sono le tante attività o iniziative che attireranno la gente, i giovani, le famiglie nelle nostre parrocchie. Di attività e iniziative interessanti, oggi il mondo è pieno e spesso sono proposte da ambienti e realtà del tutto estranee alla vita di fede. Non si tratta di farsi concorrenza o cercare di essere originali per catturare l’attenzione delle masse. Sarà un appassionato e appassionante annuncio del Vangelo che farà venire curiosità alla gente, li farà spontaneamente muovere verso Gesù il Signore.

Scrive Papa Francesco al n.11 di EG: “Un annuncio rinnovato offre ai credenti, anche tiepidi o non praticanti, una nuova gioia nella fede e una fecondità evangelizzatrice. […] La Chiesa non cessa di stupirsi per la profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio”. La Chiesa per prima si stupisce nel rinnovare la propria amicizia con Gesù e da quello stupore nasce un annuncio rinnovato capace di far breccia anche nei cuori più duri e ostinati. Il fatto è che spesso il nostro annuncio è stanco, distratto per i molti impegni, poco incisivo perché unto di retorica, distante dalla vita perché chiuso in una sagrestia, non scalda i cuori. Una cosa importante da considerare è che oggi, nella nostra Italia, la trasmissione della fede si è intiepidita; non è più scontato che questa avvenga nei contesti familiari, tanto meno nei contesti scolastici, l’unico “luogo” sarebbe la parrocchia, ma sappiamo tutti bene che oratorio, catechismo, gruppi vari sono sempre meno frequentati. Ecco perché è fondamentale che la chiesa si metta in strada – in uscita – per intercettare prima e altrove la sete di Vangelo che la gente ha. Ci troviamo in un contesto di Kerigma, di primo annuncio: la gente non conosce Gesù, molti giovani davvero non ne hanno mai sentito parlare e non c’entra la pluralità religiosa dei nostri contesti sociali ma proprio di un cortocircuito intergenerazionale nella trasmissione della fede. Gli adulti ad un certo punto non hanno passato più il testimone ai piccoli e questi sono cresciuti senza esempi da imitare.

Insieme a questo aggiungerei quanto sia importante vivere la fraternità sacerdotale. Si tratta di un elemento imprescindibile per la salute della nostra Chiesa. Non possiamo parlare né di pastorale, né tanto meno di missione e annuncio se alla base manca la fraternità vera e sincera tra sacerdoti e diaconi tra di loro e con il proprio vescovo. Sono consapevole che su questo punto spesso nel clero si fa fatica per tante ragioni, ma bisogna essere coscienti che si tratta di un punto nevralgico di tutto il nostro ministero. Sacerdoti che si vogliono bene come fratelli, diventano più attrattivi per i giovani che vivono una fase di discernimento vocazionale; mostrare amore sincero vale più di mille omelie. Volersi bene come fratelli non vuol dire non avere problemi o vivere senza tensioni o conflitti. Anzi! La relazione fraterna è certamente la più difficile e quella più soggetta a tensioni ma è quella che Gesù ci ha indicato come via per vivere pienamente il Vangelo. Non possiamo su questo punto far finta di niente o ignorarlo, perché lo sappiamo bene, ne va dell’efficacia del nostro ministero. A questo proposito recupero volentieri un passaggio del Concilio Vaticano II: “I presbiteri costituiti con l’Ordinazione nell’Ordine del Presbiterato mediante l’ordinazione, sono tutti legati tra loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale formano un unico Presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio Vescovo… Ciascuno è unito agli altri membri del Presbiterio da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità” (PO,8).

Ultimo aspetto che volentieri condivido con voi: siamo sacerdoti per tutto il mondo! Non è solo un modo di dire! Il giorno in cui siamo stati ordinati, siamo stati consacrati per annunciare e portare il Vangelo fino agli estremi confini della Terra. La missione dunque non è una materia opzionale nella vita della Chiesa, essa è per sua natura missionaria e tutti noi siamo missionari in forza del nostro battesimo. Nell’enciclica Fidei Donum di Papa Pio XII leggiamo che la Chiesa è per sua natura missionaria; la Chiesa universale si concretizza e sussiste nelle Chiese particolari; le Chiese particolari fin dalla loro costituzione sono missionarie; esse sono responsabili dell’evangelizzazione in solido e in comunione con tutte le altre Chiese”.  Non possiamo decidere di essere cristiani ma non missionari, così come non possiamo dimenticare che il nostro ministero sacerdotale è per il mondo intero. Siamo incardinati in una diocesi ma siamo sacerdoti per tutti i popoli del mondo. Non dobbiamo erroneamente pensare che la missio ad gentes sia un fatto riservato a pochi appassionati o a membri di congregazioni religiose. Questa consapevolezza ci aiuterà ad aprirci alla mondialità in ogni circostanza della nostra vita e in ogni servizio che svolgeremo durante il nostro ministero. Anche in questi tempi non facili di crisi vocazionale.

Non mi rivolgo solo a quanti hanno vissuto l’esperienza Fidei Donum in altre diocesi del mondo o a quanti desiderano farlo in futuro, ma a tutti voi, dal più giovane al più anziano. Solo una Chiesa capace di donarsi all’altro, potrà gioire dei frutti inediti dello Spirito. Se ci apriremo alla novità, se comprenderemo una volta per tutte che il cuore del nostro agire è il Vangelo e non le attività accessorie, se metteremo al centro l’importanza della relazione con la gente e non i servizi d’ufficio, allora si che vivremo uno scambio di doni, lo scambio del dono della fede che ci fa essere una Chiesa missionaria, che dona e riceve, nella logica dello scambio tra Chiese.

Vi ringrazio per la pazienza dell’ascolto e vi auguro di vivere con serenità e gioia questi tempi non facili, nella certezza che il Signore Gesù è vivo, è risorto e cammina sempre con noi.

Buona Pasqua!

 

 

+ Giuseppe Pellegrini
Vescovo