Omelia santa Messa I Domenica di Quaresima Pordenone
Santuario Madonna delle Grazie 1 marzo 2020
Un modo inusuale di vivere la domenica e la celebrazione dell’Eucaristia, attraverso la televisione. Mi sento in comunione con tutte le comunità parrocchiali della diocesi che oggi, causa la diffusione del coronavirus, non possono ritrovarsi per la celebrazione domenicale dell’Eucaristia. Siamo vicini alle persone colpite dal virus, a tutti gli anziani e ammalati e a quanti soffrono a motivo di questa situazione. Un grazie particolare e riconoscente alle istituzioni, ai coraggiosi medici, infermieri e operatori sanitari per il loro impegno e dedizione e a tutte le persone che operano per la soluzione di questo problema.
Entriamo nel cammino quaresimale, accompagnati dalla Parola di Dio di questa prima domenica di quaresima, per preparaci a celebrare il grande mistero della nostra salvezza: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù, fondamento della vita cristiana. Papa Francesco, nel messaggio che ci ha rivolto per il tempo quaresimale, ci invita a guardare e a contemplare le braccia aperte di Cristo crocifisso, per lasciarci salvare da Lui; potremo così anche noi rinascere sempre di nuovo. Un invito necessario e anche attuale, soprattutto in questi giorni di fatica e di paura. È un invito alla speranza, a fidarci del Signore che non ci abbandona mai e non ci lascia soli, che ci è vicino e ci insegna come vivere e come affrontare le prove e le tentazioni che incontriamo nel nostro cammino. Nel brano evangelico appena proclamato, le tentazioni di Gesù, che si possono definire una pagina autobiografica, ci vengono narrate le prove e le tentazioni che anche Lui ha subito e vissuto nella sua vita. Gesù per comunicarci la sua esperienza personale, che non è mai facile descrivere, usa alcune immagini che ci permettono di comprendere in profondità la nostra vera identità e il nostro cuore. Il testo della Genesi ci riporta alla scelta originale che i nostri progenitori hanno compiuto, cercando di superare il senso del limite che è insito in ogni persona: “Non morirete affatto” (3,4), dice il serpente alla donna. Hanno scelto di trasgredire invece che progredire di fronte al limite, che sempre si incontra; hanno scelto di cedere alla tentazione, cercando una scorciatoia per non faticare e per arrivare subito a soddisfare quello che ritenevano più buono e necessario.
Il testo di Matteo ci presente le tre tentazioni che Gesù si trova ad affrontare. Tentazioni che sono di ogni persona e che fanno parte della nostra umanità. Possiamo definire la prima tentazione come la signoria della soddisfazione, dell’avidità e del dominio delle cose: “Di che queste pietre diventino pane” (4,3). Indica un rapporto sbagliato con le cose che ci sono date, piegando le cose e gli altri al nostro servizio. La seconda è la tentazione dell’apparenza, dell’esibizione e del successo senza fatica e impegno. È la lusinga di una vita fatta di esteriorità e di apparenza, del tutto e subito senza il minimo sforzo: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù” (4,5). La terza, quella più subdola, perché riguarda la nostra interiorità e il nostro cuore, propone la formula del possesso dei beni come antidoto alla precarietà del vivere: “Tutte queste cose io di darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (4,9). È la bramosia dell’avere, del possedere che ci porta a sostituire Dio alle cose, a vivere come se Lui non ci fosse, perché noi ci sentiamo come Dio. Arrivati a questo punto, siamo invitati a puntare l’obiettivo non più su noi stessi e sulle tentazioni possiamo avere, ma su Gesù che vince ogni tentazione: “Vattene Satana!” (4,10). Scriveva Sant’Agostino: “Se siamo stati tentati in Lui, sarà proprio in Lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato: perché non consideri che egli ha anche vinto?”.
Carissimi, siamo tutti invitati, accompagnati da Gesù Cristo, ad entrare nelle tentazioni che la vita quotidianamente ci riserva, a fronteggiare questo duro confronto con la realtà e con i nostri limiti,
per affrontarle e superarle con coraggio e determinazione, contando non solo sulle nostre forze ma soprattutto sulla presenza dello Spirito, che ci guida e ci sostiene nelle prove, come ha fatto con Gesù. Gesù ci invita a non scappare via dalle prove, a vincere la tentazione più grande e più forte, che consiste nel non accettare il limite, spingendoci a prendere subito quello che si vuole. Diventa facile anche per noi, talvolta, soccombere al fascino del male che è dentro di noi: è il peccato originale di cui ci parla il libro della Genesi che consiste nel voler diventare come Dio, nel non accettare la fragilità e il limite della nostra natura e condizione umana. Lo stiamo sperimentando anche in questi giorni: il diffondersi del coronavirus ci ha gettati nel panico, mettendo in crisi l’idea di superpotenza, di essere onnipotenti e di fare senza Dio! Abbiamo tutti bisogno di camminare insieme con Gesù, di sentirlo vicino e compagno di strada, di fidarci di Lui e di godere della sua presenza e del suo amore.
Anch’io, come voi, sto vivendo un forte disagio e tanta sofferenza per quello che sta capitando nel mondo, in Italia e nelle nostre regioni. Siamo vicini alla persone colpite dal virus, uniti in preghiera per i defunti. Sono convinto della necessità di regole e di precauzioni emanate dall’autorità civile per contenere il diffondersi del virus. Vi confesso, però, che sono rimasto male nel vedere che le chiese e l’Assemblea domenicale eucaristica, siano state equiparate a teatri, cinema e ambienti di assembramento, e non luoghi di fede e di preghiera. Sappiamo bene che in passato, durante situazioni simili a quella che stiamo vivendo, le chiese e le celebrazioni sono sempre state considerate da tutti, luoghi e momenti dove si alimenta la fede, la speranza e la carità. Di fronte alle sofferenze delle persone, noi cristiano non dobbiamo fuggire o rinchiuderci tar di noi. Una comunità cristiana che prega e celebra l’Eucaristia, pur con le dovute precauzioni espresse dall’autorità competente, è una forza e un antidoto di speranza, di amore e di solidarietà per tutta la società. E’ stato così nel passato. Confidiamo che lo sarà anche per i nostri giorni. Nel 304 dopo Cristo, sotto la persecuzione di Diocleziano, ad Abitina, nell’attuale Tunisia, 49 cristiani furono trucidati perché ‘sine dominico vivere non possumus’, avevano partecipato alla celebrazione della S. Messa domenicale. C’è una legge impressa nel cuore di ogni vero cristiano, imprescindibile: radunarsi in comunità nel giorno del Signore per celebrare l’Eucaristia.
Invito tutti a pregare in famiglia, a meditare la Parola di Dio e a compiere qualche gesto di amore e di carità verso chi soffre. Sarà il modo più bello per preparaci a vivere il Mistero pasquale e per diventare messaggeri del suo amore e della sua misericordia, superando ogni confine.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo