Santa Messa IV Domenica di Quaresima

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Omelia santa Messa (teletrasmessa) IV Domenica di Quaresima

Pordenone, Chiesa del Cristo, 22 marzo 2020

 

Siamo giunti a metà del nostro cammino quaresimale e la Chiesa ci invita a intravedere già la luce della gioia pasquale. Una luce che la Parola di Dio ci fa vedere per farci uscire dalla tenebre della tristezza: “Svegliati tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà” (Efesini 5,14). Una luce che Gesù ha restituito al cieco, perché Lui è “la luce del mondo” (Giovanni 9,5). Vi invito a rileggere, in questi giorni il capitolo 9 del Vangelo di Giovanni, per meglio entrare nella preghiera con Dio. Gesù ci invita a non fermarci al fatto straordinario, ma ad andare oltre leggendo i significati più nascosti.

L’evangelista Giovanni, nel suo Vangelo, racconta solo sette miracoli di Gesù, pur dicendo che ne ha tralasciati molti altri, chiamandoli ‘segni’. Il segno, infatti, ha un valore simbolico, perché ci indica il cammino di fede che porta all’incontro con Gesù, aiutandoci a riconoscerlo come Figlio di Dio e salvatore nostro. Il dono della vista che Gesù dà al cieco è il simbolo, per lui e anche per noi, della fede. Credere in Gesù è acquistare non solo la vista fisica, ma soprattutto è ricevere uno sguardo che aiuta a vedere il mondo e la realtà da un’altra prospettiva, è trovare il vero senso delle nostra vita e della storia. Notiamo che la guarigione avviene in modo graduale per indicare che il cammino di fede è un passo dopo l’altro, fatto di tappe e di passaggi, perché non è facile riconoscere il Signore Gesù. Il cieco vede Gesù prima come uomo, che gli ha dato qualcosa, poi come profeta e poi come Signore, perché ha scoperto che la grazia non è stata solo quella della vista fisica, ma di poterlo vedere e incontrare con gli occhi del cuore e riconoscerlo capace di offrire l’amore e la gioia.

Carissimi fratelli e sorelle, mai come ai nostri giorni, questo episodio evangelico è attuale e carico di significato. Tutti ci sentiamo come quel cieco. Siamo travolti da un male che non si vede ma che è reale e micidiale. Incapaci di trovare una soluzione, il virus ci sta portando a chiuderci in noi stessi, ad avere paura di tutto, a perdere la speranza e la fiducia nel domani. Anche se è difficile, non cediamo mai alla disperazione. Mai. In questi giorni che siamo chiamati a stare in casa, vi invito a trovare un po’ di tempo per guardare più profondamente dentro di voi. Scopriremo che spesso, fidandoci solo di noi stessi, del progresso e delle cose materiali, ci siamo dimenticati di Dio che è nostro Padre, che ci ama sempre come figli, credenti e non credenti, senza distinzione alcune, soprattutto nei momenti di sofferenza e di dolore. Di un Dio che non ci lascia soli e che ci è vicino. Lasciamoci prendere per mano da Gesù, come ha fatto con il cieco nato, perché ci riporti al dono della creazione, considerando che la vita è un dono suo, plasmati a sua immagine e somiglianza. Questo è il significato della terra impastata che Gesù spalma sugli occhi del cieco: un ritorno alle origini come figli di Dio.

Nel meditare questo testo, mi sono soffermato sulla domanda che i discepoli hanno fatto a Gesù; è la stessa domanda dei nostri giorni, domanda che ci facciamo quando capitano sofferenze e dolori: “Chi ha peccato lui o i suoi genitori?” (Giovanni 9,2). Quante domande ci facciamo anche noi: Perché questo virus? Di che e la colpa? Perché Dio permette tutto questo? Perché non interviene? E’ giusto che ci facciamo queste domande, perché non siamo capaci da soli a cogliere il significato più profondo della vita, pensando che le risposte debbano essere date solo dalla logica, dalla nostra intelligenza e dal ragionamento. Invece, la risposta che Gesù offre al cieco e ai discepoli, ci obbliga a guardare la realtà non solo dalla prospettiva umana, ma anche dall’orizzonte di Dio, modificando il

modo di pensare e di ragionare: “Né lui né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (9,1).

Carissimi, questa è la conversione che il Signore chiede a ciascuno di noi, in questo cammino quaresimale, ovvero: di collocare questa realtà, ciò che ci sta capitando, all’interno di un disegno e di un progetto più grande, quello di Dio, di trovare la speranza nelle pieghe di ogni situazione, anche in quelle più oscure, con la fiducia e la certezza che Dio è più grade del male e le sue opere si possono ancora realizzare. E l’opera di Dio più grade è la carità. In questi giorni di dolore e di sofferenza, non fermiamoci a chiederci solamente di chi è la colpa, perché ci è capitato tutto questo; sappiamo che fa parte della nostra umanità ferita, di un mondo malato e inquinato. Guardiamo, piuttosto, alla opere di Dio, all’amore e alla carità che fioriscono numerose ai nostri giorni. Quanto amore, quanta carità sono presenti nella nostra diocesi: uomini e donne che si stanno consumando negli ospedali, come i medici e gli infermieri, i volontari della protezione civile e della croce rossa, e tantissimi giovani, adulti e anziani che si rendono disponibili alle tante necessità e povertà. Quesita è la carità e l’amore di Dio che vede quotidianamente! Tutti siamo chiamati a compiere qualche gesto di amore. Ve ne suggerisco uno, facendo mio l’appello delle autorità civili: restiamo in casa. Viviamo questo invito non come imposizione e restrizione della libertà, ma come un gesto di amore verso chi è più debole e fragile, un gesto di amore per non diffondere il virus e per fermare il contagio.

Approfittate di questo tempo difficile per riscoprire e vivere nella vostra casa la presenza di Gesù e la ricchezza e il dono dell’essere una piccola Chiesa domestica, dove regna la carità, l’amore e la pace.

 

+ Giuseppe Pellegrini vescovo

Pordenone
22/03/2020
33170 Pordenone, Friuli Venezia Giulia Italia