Omelia santa Messa (teletrasmessa) nella CENA del SIGNORE
Pordenone, Concattedrale, 9 aprile 2020
Con questa celebrazione della Messa nella Cena del Signore, inizia il Triduo della Pasqua di Gesù. Gesù trascorre le ultime ore della sua vita terrena in casa, in compagnia dei suoi discepoli. Penso, carissimi, mai come quest’anno ci sentiamo ancora più in sintonia con Gesù e con la Chiesa primitiva che celebrava nelle case, impossibilitati a causa del contagio. Celebriamo questa sera l’Eucarestia qui nella chiesa Concattedrale e con voi, attraverso la televisione, nella vostra casa, piccola chiesa domestica, in comunione con tutta la chiesa diocesana e con tutte le Chiese sparse nel mondo.
Gesù nell’ultima cena testimonia un amore straordinario per i suoi discepoli, istituendo l’Eucaristia. Offre il suo corpo e il suo sangue, sotto forma di pane e di vino, perché diventasse per sempre nel mondo, segno della sua presenza e del suo amore. “Fate questo in memoria di me” (1Corinzi 11,24), comanda Gesù ai suoi discepoli, perché il dare la vita per amore, continui ad essere presente in loro e perché, attraverso la testimonianza dei credenti, rimanga presenza viva di Gesù nel mondo. Il libro dell’Esodo ci ha presentato le origini più antiche della Pasqua: l’agnello pasquale d’Israele ci riporta all’evento storico della liberazione del popolo dall’Egitto (cfr. Esodo, 12,11). Ma per comprendere più chiaramente il significato del gesto di Gesù, è necessario partire dalle prime parole del capitolo 13 di Giovanni: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amo fino alla fine”. Di solito, questa prima parte ci sfugge, perché il testo ci porta a considerare il gesto intenso e significativo della lavanda dei piedi che si ripete ogni giovedì santo. Purtroppo, per motivi sanitari, questo gesto è opportuno non farlo. Pertanto ci concentriamo a comprendere il significato più profondo dell’ultima cena di Gesù. Le parole “Li amo fino alla fine”, aprono non solo il capitolo 13 di Giovanni ma tutta l’ultima parte del suo Vangelo; infatti, la vita di Gesù si conclude con l’ultima parola pronunciata sulla croce: “E’ compiuto” (19,30). Ciò che è compiuto è l’amore. Questa è la vera opera del Padre che ha affidato al Figlio e attraverso quest’opera viene glorificato nel Figlio. Questa espressione è centrale per poter capire fino in fondo la passione di Gesù, nel suo vero significato di compimento di una vita vissuta per amore.
Diversi e interessanti sono i significati che possiamo dare a questa espressione: ‘amare fino alla fine’. Significa prima di tutto prolungare l’atto di amore di Gesù nel tempo, lungo tutta la sua esistenza, quindi fino alla morte. Gesù si è dato totalmente fino all’estremo, fino al dono della vita, perché “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). C’è, inoltre, un altro significato, che ci permette di comprendere più profondamente l’animo di Gesù e il suo grande amore, mentre nell’ultima cena viene tradito non solo da Giuda, ma anche dagli altri. Gesù, non solo non viene capito, ma viene tradito dai suoi amici. Vive un amore che non viene ricambiato, perché è un amore totale, gratuito fino alla fine. In questa espressione è riassunta tutta la vita di Gesù: è l’amore per i discepoli, per ciascuno di noi per sostenerci lungo il tratto difficile della nostra vita. Tutta l’esistenza di Gesù si può raccogliere nella categoria dell’amore: l’amore che si dona fino alla fine, fino alla morte in croce, fino a dare tutto se stesso per noi, anche se non viene ricambiato. Gesù ama oltre ogni misura. Il gesto della lavanda dei piedi che ci viene raccontato da Giovanni nei minimi particolari, sostituendo il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia, mette in evidenza che non è solo un gesto di umiltà o di galateo di quel tempo, ma un gesto rivoluzionario che rovescia i rapporti tra maestro e discepolo, che cambia l’ordine gerarchico. Ricordiamoci la domanda di Gesù ai discepoli secondo l’evangelista Luca: “Chi è il più grande, chi sta a tavola o chi serve? … Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 22,27). Possiamo ben dire che Gesù inaugura la
logica dell’amore: logica che ha ricevuto dal Padre, che ha guidato tutta la sua vita e ora dona anche a noi, alla Chiesa e a tutta l’umanità. Con queste parole e gesti compiuti nell’ultima cena, Gesù sconvolge la logica umana, comunicandoci un volto di Dio inedito e impensabile per il ragionamento umano: Dio ama l’umanità, si interessa di tutti gli uomini e donne del mondo, ci è accanto in ogni sofferenza, in ogni povertà, anche in questi giorni di epidemia.
Carissimi, questo è il significato dell’Eucarestia che siamo chiamati a celebrare ogni domenica e che so mancare a tanti di voi. Scopriamo e riscopriamo il valore dell’Eucaristia domenicale, non come un rito tradizionale o come un obbligo tramandato dalla cultura vecchia e sorpassata. L’Eucarestia rende presente lo stile di Dio, l’amare fino alla fine. Nelle parole: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”, e racchiusa tutta la potenza di Dio, di un Dio che per amore ci ha creati e salvati, che continua a volerci bene e a starci. Contemplando lo stile di Dio, siamo chiamati a farci dono e a fare della nostra vita un dono per gli altri. Anche se non siete fisicamente presenti qui in chiesa – non è bello celebrare con la chiesa vuota – il cuore mi dice che siete tutti presenti, questa sera. Chiedete al Signore che si renda presente nella vostra casa, in cucina o in salotto, dove siete radunati. È in casa, che Gesù ha dato appuntamento ai suoi discepoli duemila anni fa. E lo fa anche questa sera. Il mistero del corpo e sangue di Gesù è più grande, è più forte del tempo e dello spazio, perché è eterno. Per questo ci permette di essere tutti uniti, anche se lontani. In questa celebrazione, sentiamo viva la presenza di Gesù, la sua persona, attraverso il dono che possiamo fare di noi stessi agli altri. Amate anche voi fino alla fine. E questo lo si può fare in casa, con i propri familiari, con i vicini, con chi soffre e – per quanto possibile -portando aiuto ai più bisognosi.
Pur in modo diverso, questo Triduo Pasquale, potrà diventare un grande Triduo, bello e significativo, perché ci permetterà di sentire ancora più forte e più viva la presenza di Gesù dentro di noi, nelle nostre famiglie. Buon Triduo Pasquale a tutte e a tutti.
+ Giuseppe Pellegrini vescovo